Pillole d'Arte

    
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Galileo Chini




Firenze, 02/12/1873 - 23/08/1956

Nacque a Firenze il 2 dic. 1873 da Elio, sarto e suonatore di fliscorno, e da Aristea Bastiani. Rimasto orfano di padre a otto anni, e interrotti gli studi alla terza elementare, venne accolto comev apprendista alla bottega dello zio paterno Dario, decoratore. Entrato in contrasto con la famiglia dello zio, il Chini si diede anche all'attività di imbianchino, ma presto ritornò dal parente e con lui partecipò nel 1890 ai restauri in S. Trinita a Firenze. In quello stesso anno, dietro suggerimento dell'amico Giulio Bargellini, si iscrisse alla scuola libera di nudo all'Accademia di Belle Arti di Firenze, frequentandola però saltuariamente: ebbe tuttavia modo di conoscere, tra gli altri, Plinio Nomellini, Ludovico Tommasi, Giuseppe Graziosi, Libero Andreotti. Frequentando il Circolo degli artisti divenne amico di R. Papini, di Sem Benelli, e, negli anni '92-'93, di Telemaco Signorini. Nel 1897, morto lo zio Dario, il Chini gli successe nell'incarico dei restauri a Prato, Siena e San Miniato, rilevando anche la sua bottega. Nel frattempo si era occupato di pittura di cavalletto: nel 1895 aveva mandato un suo quadro alla prima mostra fiorentina "Dell'Arte e dei Fiori"; ma l'opera era stata rifiutata perché "troppo decorativa", ed esposta poi a una mostra dei rifiutati.

Il Chini fece nel corso del 1896 le sue prime prove come ceramista e tra la fine di quell'anno e l'inizio del successivo, in cooperazione con gli amici Vittorio Giunti, Giovanni Montelatici, Giovanni Vannuzzi, rilevò in Firenze una piccola manifattura di ceramiche che stava per chiudere, fondando la fabbrica "Arte della ceramica". Frattanto egli continuava anche la pittura di cavalletto: ci rimangono due ritratti della moglie del 1899 (Lido di Camaiore, eredi Chini) e La quiete, opera di impianto un poco scenografico, ma alleggerita dai toni luminosi, con cui il pittore iniziò la sua partecipazione alla Biennale di Venezia, nel 1901. Il primo decennio del nuovo secolo costituì per il Chini un periodo di indiscussa fortuna: la sua attività non conobbe soste e si profuse nei campi più diversi. Nella pittura innanzitutto, dove, stimolato forse dall'amico Nomellini e dalle opere di Segantini e di Previati, si volse a tematiche simbolistiche (non del tutto estranee alla sua sensibilità, solo che si pensi alla forte carica allegorica delle sue ultime opere), cui si improntarono i quadri esposti nelle varie edizioni della Biennale: nel 1903, La sfinge e Un tramonto; nel 1905, Il trionfo e La campagna; nel 1907, un tondo dipinto a fresco, Il Battista, e due tele, Icaro e Il giogo.

E con la pittura il Chini sviluppò l'attività di decoratore: alla fine del 1903 iniziò contemporaneamente una serie di decorazioni pittoriche alle pareti e ai soffitti del palazzo della Cassa di risparmio di Pistoia, e dell'Hotel Pace di Montecatini e nello stesso anno partecipò alla decorazione e all'arredamento della sala toscana alla Biennale, dipingendo la volta, realizzando il fregio in terracotta e maiolica attorno alle pareti, disegnando i modelli di due lampadari e di due porte a intarsio di pietre dure; nel 1906 eseguì decorazioni per la Cassa di risparmio di Arezzo. Nello stesso giro di anni, in collaborazione con l'architetto Giovanni Michelazzi, si diede a decorare numerose ville fiorentine. Dopo aver arredato la sala della "Giovine Etruria" all'Esposizione di Milano del 1906, e dopo aver collaborato alla sala "L'arte del Sogno" per la Biennale del 1907, ricevette nel 1909 l'incarico di affrescare la sala della cupola (ingresso principale) della Biennale con i periodi più importanti della civiltà e dell'arte.  La rassegna dei cicli decorativi comprende ancora la sistemazione del padiglione italiano all'Universale di Bruxelles (1910), e la partecipazione alle esposizioni celebrative del 1911 a Roma, Torino, Firenze.

Il Chini non interruppe neppure la sua attività di ceramista, perché, se abbandonò nel 1904 l'"Arte della ceramica" che si era appena trasferita in via Settignanese presso Fontebuoni, nel 1907, in società con i cugini Chino e Pietro, diede vita alla "Manifattura Fornaci S. Lorenzo - Chini e C. Borgo S. Lorenzo - Ceramiche e vetri d'arte", la cui attività durò fino alla seconda guerra mondiale con il C. direttore artistico e Chino direttore. Questa manifattura aggiunse alla tradizionale produzione in vasi e oggetti decorativi, con frequente uso, soprattutto fino al 1911, di grès, quella di vetrate d'arte e piastrelle. Nel 1908, realizzando le scene per la Maschera di Bruto di Sem Benelli, il Chini iniziò anche la sua attività di scenografo, pregevole per l'alleggerimento della farragine ottocentesca grazie all'immissione di caratteri stilistici propri del liberty. Nel 1909 preparò le scene, i costumi e i "manifesti per la réclame" per la prima, all'Argentina di Roma, della Cena delle beffe benelliana e curò le scene per il Sogno d'una notte di mezza estate (pure all'Argentina); nel 1910 ancora sue furono le scene per L'Amore dei tre re, sempre del Benelli, e per l'Orione di Ercole L. Morselli.

Di rilievo anche la sua azione nel campo della grafica e della cartellonistica: dal manifesto, per l'"Arte della ceramica" (riprodotto nelle pagine pubblicitarie del catalogo della Biennale 1901) a quelli per la Cena delle beffe (1909), per l'Etnografica di Roma (1911), per Piccolo harem di G. Costa, per una mostra canina del 1925 e per Fiorenza del Benelli (1930) fino alla cartellonistica pubblicitaria (per il risparmio, ad esempio). Illustrò il volume benelliano (Firenze, Calvelli, 1901) dedicato agli scultori della Biennale e L'Amore dei tre re (Milano, Treves, 1910), subendo influenze varie, da Morris a Crane a Beardsley; dal 1906 collaborò con vignette al Giornalino della Domenica.

Ad attestarne la fama vennero gli incarichi ufficiali di insegnamento: nel 1908 la cattedra per le arti decorative pittoriche all'Accademia di Belle Arti di Roma e nel 1911 quella di decorazione pittorica all'Accademia di Firenze. Nel 1910 ebbe l'incarico da parte del re del Siam Chulalongkorn, che aveva ammirato la decorazione della cupola alla Biennale dell'anno precedente, di decorare il palazzo reale di Bangkok, allora in avanzata fase di costruzione ad opera di un gruppo di architetti (Rigotti e Tamagno) e ingegneri (Allegri e Gollo) italiani. Il soggiorno siamese durò dal 1911 al '14 (salvo un breve ritorno in patria nel 1913): il Chini dipinse, nel palazzo reale, parte a fresco e parte a calce (calce viva, per garantire stabilità all'intonaco e al colore), tre mezze cupole, una grande lunetta e la vasta cupola dello scalone (con fatti storici e raffigurazioni allegoriche), e diresse l'ornamentazione delle altre parti dell'edificio secondo stilemi di matrice orientale.

Ma l'esperienza siamese è importante per la messe di impressioni, immagini, sperimentazioni: che si riflette subito, vivamente, in un gruppo di quadri, eseguiti in Siam e ora conservati presso gli eredi Chini a Lido di Camaiore (Tramonto sul Me-Nam, 1912; Plenilunio sul Me-Nam, 1913, e altre consimili immagini d'Oriente), i quali presentano marginali punti di contatto col divisionismo italiano; ma in realtà sono ad esso irriducibili, nella loro personalissima sintesi di quotidiano realismo e senso del mistero. Partecipa di una medesima atmosfera il capolavoro chiniano. Fine d'anno cinese a Bangkok del 1913 (attualmente conservato dagli eredi a Lido di Camaiore), opera per la quale è forse lecito un accostamento a un Boccioni prefuturista intorno al 1910. Al soggiorno siamese si riferiscono ancora un folto insieme di studi (ora presso gli eredi Visconti) per costumi e personaggi, dalle tinte luminosissime, e un congruo numero di nature morte, realizzate con statuette, vasi cinesi, maschere teatrali, di un grottesco rilievo.

Tornato in Italia, il Chini presentò alla Biennale del 1914 una personale con quindici "impressioni d'Oriente", un buon numero di vasi in ceramica e in grès e curò l'allestimento del salone centrale creando in diciassette giorni diciotto pannelli a tecnica mista. I pannelli sconcertarono non poco, né bastarono le spiegazioni che l'autore stesso scrisse nel catalogo della rassegna: ma con essi egli, mescolando le influenze d'Oriente col modello klimtiano, perveniva a uno dei risultati più alti del modernismo in Italia, condividendo un certo esito astratto proprio di taluni aspetti del liberty.

La grande guerra non interruppe l'attivismo del Chini, che non disdegnò le vetrate per chiese e i mosaici per cappelle cimiteriali; nel 1917, poi, pubblicò il manifesto Rinnovando rinnoviamoci, sottoscritto da un gruppo di artisti raccolti nell'Associazione propaganda artistico-industriale, il cui scopo principale era l'abolizione delle accademie e l'instaurazione di scuole artistiche industriali atte a rinnovare tutte le forme delle arti applicate. Intanto (1915) si era costruito una casa al Fosso dell'Abate, oggi Lido di Camaiore, che diventerà la sua residenza preferita e luogo di ritrovo di alcune personalità artistiche del tempo. Nel dopoguerra, riprendendo le Biennali, il Chini presentò nel '20 tre dipinti e curò la decorazione pittorica del salone centrale con una serie di pannelli un po' estranea alla sua sensibilità: La glorificazione dell'artigliere e dell'ardito lanciafiamme,del nocchiero,dell'aviatore,del fante,del lanciere.

Ininterrotto era stato il susseguirsi di riconoscimenti alle esposizioni internazionali, culminati nel 1925 con l'assegnazione, a Parigi dei due "Granda Prix": uno per i materiali ceramici e uno per la produzione di vasi. Dopo un ultimo ciclo decorativo, eseguito a villa Donegani, sul lago di Como, nel 1927, il Chini, partecipando di una sorta di "ritorno all'ordine", si diede ad una pittura naturalistica, in rapporto col clima dei post-macchiaioli, dipingendo nature morte, alcuni nudi e numerosi brani di paesaggio della Versilia: una pittura la cui distanza dal "decorativismo secessionistico e le simbolerie" soddisfaceva il Carrà, che ne scriveva nell'Ambrosiano (1932). Negli anni '40, i paesaggi e le figure incominciano ad assumere una inflessione fauve e un ultimo gruppo di opere, dipinte tra il '50 e il '54 nel dramma di una incombente cecità (L'erede,I rifiuti del mare, entrambi del '50; La preda,Ultimo invito, entrambi del '51; Follia macabra, del '54, l'ultima opera: eredi Chini), assume toni di un tragico espressionismo, sul tema prevalente della morte. Il Chini morì a Firenze il 23 agosto 1956 nella sua casa di via del Ghirlandaio.

Stefano Fugazza - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980) - treccani.it - articolo  completo)