Milano, 02/03/1885 - 10/04/1956
Figlio di Antonio e di Teresa Amelotti, nacque a Milano, il 2 marzo
1885, primo di cinque figli. Nella famiglia De Grada si coltivava la
pittura da generazioni. Il padre del Antonio, buon amico di E. Gignous e
di G. Segantini; faceva il decoratore e per tentare la fortuna emigrò in
Argentina nel 1890, ma la permanenza in Sudamerica durò solo due anni.
Socialista, la situazione che l'attendeva in Lombardia non era
soddisfacente e ancora una volta, dopo i fatti del 1898, la famiglia si
trovò costretta ad affrontare uno spostamento, questa volta nella più
vicina Svizzera (1899), dove i De Grada risiedettero per molti anni.
A Zurigo il giovane De Grada ricominciò gli studi in tedesco, mentre il
padre si dedicava attivamente a lavori di affresco per palazzi pubblici,
aprendo un'azienda di imbiancatura e decorazione. Ben presto il De Grada
cominciò ad aiutarlo, senza tralasciare la pittura da cavalletto; ed è a
Zurigo che, quattordicenne, cominciò a dipingere i suoi primi paesaggi.
Nel 1903 si iscrisse all'Accademia di Dresda, trasferendosi dopo due
anni a Karlsruhe, dove restò sino al 1908. Del 1903 è il dipinto L'Elba
a Dresda (olio su tela; Zurigo, coll. K. Weber) che raffigura il
ponte sul fiume Elba accanto al quale si trovava il caffè che diede il
nome al gruppo della Brücke formatosi proprio quell'anno; i suoi primi
termini di riferimento furono Hans Thoma e il naturalismo tedesco.
Lo studio degli impressionisti francesi, già entrati a far parte delle
collezioni tedesche, e la conoscenza di Cézanne, che poté direttamente
osservare nelle collezioni di Reinhardt e Hahnlöser a Winterthur,
influenzarono in modo fondamentale la sua pittura. In questo periodo
dipinse una serie di paesaggi montani (boschi di betulle d'autunno,
laghi alpini d'inverno) che iniziarono a imporlo, con una certa fortuna,
all'attenzione del pubblico. Nel 1912, anche se attivo nell'azienda del
padre, compì il primo viaggio estivo in Italia allo scopo di dipingere.
Nel 1912 era ad Anzio, nel 1913 in un paese nelle vicinanze di Orvieto,
come testimonia un paesaggio pubblicato in un catalogo della galleria
Neupert di Zurigo, galleria che comprò e promosse i suoi lavori e che
nel 1913 gli organizzò la prima mostra personale con un'ottantina di
dipinti. In Italia tornò anche per partecipare alla prima guerra
mondiale: nel 1917 si trovava, in qualità di interprete, presso i campi
di prigionia di Cremona, Gussola e Casalmaggiore; il 1919 segna il
definitivo abbandono della Svizzera per San Gimignano, dove nel 1915
aveva sposato Magda Ceccarelli.
È da questo momento che si può iniziare a parlare di uno stile personale
nella sua pittura. I suoi interessi principali si focalizzarono intorno
allo studio della natura, della luce e del colore e in Italia l'artista
iniziò nuove ricerche che, sulla base della lezione di Cézanne e della
conoscenza dei primitivi toscani, lo portarono a una ricostruzione del
paesaggio "moderna, quasi geometrica, ma sempre legata alla natura e
allo stato d'animo". (R. De Grada jr., 1983, p. 303). Una mostra del
1921, la sua prima personale a Firenze a palazzo Antinori, e la
partecipazione alla "Fiorentina primaverile" del 1922 gli procurarono un
certo consenso tra la critica e gli artisti e determinarono il suo
trasferimento, nel 1922, a Firenze. La vita culturale a Firenze tra il
1920 e il 1930 era piuttosto vivace; vi abitavano letterati come Montale
e artisti come, Soffici, Rosai e lo scultore Libero Andreotti. Il De
Grada frequentava la casa di quest'ultimo e ruotava intorno al gruppo
"Giubbe Rosse" e ai letterati della rivista Solaria. La sua pittura, che
gradualmente si liberava dagli schemi primitivi, assumeva un tono di più
ampio respiro, e venne notata da M. Sarfatti, da M. Sironi e da C.
Carrà, con i quali strinse amicizia.
Nel 1922 era sorto a Milano intorno alla Sarfatti il "gruppo Novecento"
e nel 1925 una commissione formata da A. Salietti, Sironi, Wildt e A.
Funi incaricò il De Grada di organizzare la partecipazione degli artisti
toscani alla prima mostra del Novecento che si tenne alla Permanente
nella primavera del 1926; lo stesso De Grada fu presente con tre olii:
Ponte degli Scopeti , Capraia e Paese.
Da questo momento in poi partecipò a tutte le mostre di "Novecento" in
Italia e all'estero, anche se non si può parlare di una sua vera e
propria adesione al movimento dal quale, pur condividendo le idee di
costruzione e il ritorno alla primitiva purezza, si differenziava, come
afferma R. Guttuso, per "la sua purezza, per il suo sentimento della
natura, per la sua onestà nel guardare, nel capire, nel trasporre. Senza
sovrapporsi alla natura, senza preconcetti linguistici". Nel 1928 la
Biennale di Venezia (che il De Grada frequentava già dal 1920) ospitò
per la prima volta una sua personale e nel 1930, dopo alcune mostre
fortunate a Milano, egli lasciò Firenze per far ritorno alla sua città
natale.
Sono di questo periodo alcune nature morte dai toni caldi, vasi di fiori
e cesti di frutta, e alcune vedute del Lambro (Paesaggio a Vedano sul
Lambro, 1936; Carate Brianza, La Valle del Lambro alla Casa Rossa,
1937, Carate Brianza) e della periferia di Milano, quella stessa
raffigurata da Boccioni agli inizi del secolo. La sistemazione a Milano
risultò meno felice della permanenza a Firenze e, inoltre, motivi di
ordine economico lo spinsero ad accettare la cattedra di disegno e
figura all'Istituto superiore d'arte di Monza, dove ebbe come colleghi
Arturo Martini, Marino Marini, Pio Semeghini, A. Funi; ma, a causa del
suo rifiuto di prendere la tessera del partito fascista, fu costretto a
lasciare l'insegnamento allo scoppio del conflitto. Attraverso il figlio
Raffaele, che si dedicava alla critica d'arte, il suo studio iniziò ad
essere frequentato dagli artisti più giovani, come Guttuso, R. Birolli,
G. Manzù; negli ultimi anni della sua vita il De Grada divise il suo
soggiorno tra Milano e la Toscana da lui tanto amata. Morì a Milano il
10 apr. 1957 dopo un ultimo incontro, l'anno precedente, con la pittura
di Cézanne, suo maestro ideale insieme con Corot, in occasione della
mostra del pittore ad Aix-en-Provence.
(Marzia Kronauer - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988) -
treccani.it) |