Ferrara, 26/02/1890 - Appiano Gentile, 26/07/1972
Dai 12 ai 15 anni frequentò la Scuola Municipale d'Arte Dosso Dossi e
trasferitosi a Milano nel 1906 seguì i corsi dell'Accademia di Brera
fino al 1910, discepolo di Cesare Tallone.
Ha partecipato alle esposizioni futuriste, alle Biennali di Venezia e di
Roma e alle principali mostre d'arte italiana d'avanguardia organizzate
all'estero.
Ha tenuto anche riuscite mostre personali. Alcune opere: Famiglia a tavola; Bambine alla finestra; Bambino;
Maternità; Mia madre; La terra; Figura; L'acqua; Testa di
donna; L'abbandonata; Figura con frutta; Profilo di giovinetta;
Rebecca al pozzo; Sago; L'architetto Chiattone; Paesaggio; Una
persona e due età; Mio padre; Riviera ligure; Natura morta;
Venere innamorata; Malinconia, queste due ultime nella Galleria
d'Arte Moderna di Milano; Publio Orazio uccide la sorella, che fu
esposta alla Internazionale di Venezia nel 1932 in una sala a lui
dedicata, assieme ad altri ventisei lavori.
Nel febbraio del 1933, ordinò un'altra mostra personale riunendo nelle
sale della Galleria Milano una quarantina di opere: paesaggi, ritratti,
ma più numerosi e interessanti i quadri di figura, sui quali Vincenzo
Bucci scrisse nel Corriere della Sera; "Per riconoscere subito Funi,
per non confonderlo con nessun altro pittore moderno, bisogna cercarlo
in questi nudi, in quelle figure di donne che sorgono dall'ombra del
fondo con le loro carni color perla, candide e luminose come
apparizioni, ma con una soavità nel dolce chiaroscuro dei volti e con
uno sguardo accorato che ce le rende meno irreali e più umane".
A. M. Brizio (Ottocento, Novecento Torino, U.T.E.T., 1939) così illustra
l'arte del Funi: "La sua pittura è molto cerebrale.
La struttura dei suoi nudi svela, al di sotto delle nere ombre
novecentiste, uno schema retorico ed accademico.
Il tono d'ironico distacco che talvolta vi affiora e l'intelligenza che
questo tono rivela; e un'eco d'aura surrealista che permane negli
insoliti e sottili accostamenti compositivi d'oggetti e pezzi disparati,
capaci di suggestioni colte e cerebrali, sono i lati migliori della sua
pittura".
Fu volontario durante la prima grande guerra e combatté a Dosso Casina e
sul Piave. Direttore per parecchi anni dell'Accademia Carrara di
Bergamo, e dal 1957 direttore dell'Accademia di Brera, ove nel 1939
fu
titolare di pittura a fresco.
(A. M. Comanducci)
FUNI, Virgilio Socrate (Achille). - Nacque a Ferrara il 26 febbraio 1890
da Giuseppe e da Elvira Bertolini. Il padre era di idee socialiste, tra
i fondatori della Camera del lavoro di Ferrara, e possedeva vivaci
interessi culturali, rivolti soprattutto al mondo classico, che trasmise
al figlio. Terminate le elementari, il Funi si iscrisse alla civica
scuola di belle arti "Dosso Dossi". Affiancò presto agli studi ufficiali
la frequentazione dell'atelier di N. Laurenti, dove conobbe R. Melli, G.
De Vincenzi e L. Caravita, coi quali espose nel dicembre 1904 presso lo
studio del fotografo Settimio Buzzoni. Nel maggio del 1905 partecipò
alla Mostra collettiva del teatro dei Filarmonici di Ferrara.
Inizialmente il Funi fu fortemente suggestionato dagli affreschi
rinascimentali di palazzo Schifanoia e dalle altre opere di arte
classica presenti in città, come le antichità del Civico Museo
lapidario; anche le sue letture, sollecitate dal padre e facilitate
dall'accesso alla ricca biblioteca di uno zio, si orientarono verso la
conoscenza dei classici latini e della letteratura italiana. Nel 1906 si
trasferì a Milano con la famiglia prendendo inizialmente alloggio al n.
1 di via dei Mille, presso la casa ove abitava N. Laurenti e della quale
la madre ebbe la custodia come portinaia (il padre, invece, si impiegò
come operaio in una pellicceria); il Funi si iscrisse all'Accademia di
Brera, con l'amico ferrarese R. Marzola. Nel 1907-08 frequentava la
scuola di nudo, dove ebbe come insegnanti V. Bignami, E. Butti, F.
Confalonieri e C. Tallone, del quale ebbe la possibilità di seguire, tra
il 1908 e il 1910, i corsi speciali di pittura, riservati ai migliori
allievi; con lui erano stati scelti A. Carpi, A. Bonzagni, D. Frisia.
Conobbe in questi anni altri giovani che in seguito furono protagonisti
della scena artistica, quali A. Bucci, C. Erba, C. Carrà, A. Sant'Elia e
M. Chiattone. Nel 1909 il suo quadro L'aratura, esposto alla
Permanente nell'ambito del concorso per i premi dell'Accademia di Brera,
ricevette l'attenzione di U. Boccioni, che ne scrisse in un articolo
sulla mostra. A partire dal 1910 adottò il nome di Achille.
Si avvicinò presto agli ambienti del nascente futurismo e nel 1912 fu
tra quanti esposero al caffè Cova nella mostra degli artisti rifiutati
dalla Permanente, presentandovi il dipinto La danzatrice. Le istanze
innovative del movimento d'avanguardia incrinarono le certezze della sua
solida formazione classica e accademica, anche se le opere che eseguì
negli anni Dieci dimostrano comunque la ricerca di una solidità
costruttiva che nasce dalla sintesi tra richiami cubisti e temi
futuristi.
Le opere di questi anni oggi note - paesaggi urbani come Corso Monforte
(1911) o Notturno (1914) - manifestano l'urgenza di un rinnovamento in
chiave moderna che porta a una deformazione del reale per effetto della
velocità; invece altri lavori come Ragazza sul balcone (1912) o
Autoritratto futurista (1913) - opere tutte in collezioni private -
denotano un rigore strutturale, pur nella rottura degli schemi
tradizionali, con accenni cubisti mediati dalle opere degli amici
futuristi Carrà e Boccioni.
All'inizio del 1914 fu tra i fondatori di Nuove Tendenze; gli artisti
del gruppo, sostenuto dal critico U. Nebbia, si muovevano nel clima
futurista fornendone una versione moderata. L'unica esposizione che
allestirono ebbe luogo tra il maggio e il giugno del 1914 presso la
Famiglia artistica milanese, con la partecipazione di A. Bisi Fabbri, L.
Dudreville, A. Fidora, M. Nizzoli, G. Possamai, Erba, Chiattone e
Sant'Elia.
Il Funi vi presentò nove dipinti che dimostrano il suo aggiornamento sulle
nuove proposte di sintesi grafico-espressiva dei futuristi, e
segnatamente di Boccioni. Anche nel testo teorico da lui pubblicato nel
catalogo si individuavano precisi riferimenti alle intenzioni dei
futuristi nella rappresentazione plastica del movimento nei dipinti e
nelle sculture, con osservazioni dialetticamente vicine alle idee
espresse da Boccioni nel volume Dinamismo plastico. Anche altri
dipinti del 1914, quale ad esempio L'uomo che scende dal tram (Milano, Civico
Museo d'arte contemporanea), tendono a una composizione plastica
unitaria, nella quale lo spazio è assorbito dai marcati segni di
contorno, in un'unica espansione cromatica.
L'esperienza di Nuove Tendenze si concluse in breve tempo, a causa della
defezione di Sant'Elia, che passò ufficialmente tra i futuristi, e di
altre difficoltà nei rapporti fra i componenti del gruppo, oltre che per
lo scoppio della guerra. Come i futuristi, il Funi partì volontario nel
Battaglione lombardo Volontari ciclisti, ritrovandosi, nel periodo di
addestramento a Gallarate, con F.T. Marinetti, Sant'Elia, Bucci,
Boccioni e altri (con alcuni di loro decorò il teatro di Gallarate per
una delle iniziative prese dagli artisti volontari al fine di
coinvolgere la popolazione). Dopo aver partecipato alle azioni belliche
affidate al battaglione divenne ufficiale dei bersaglieri ed ebbe
diverse destinazioni, a Pesaro, a Caposile e quindi al fronte.
Nei mesi di guerra realizzò numerosi disegni, che illustrano la vita
militare senza rinunciare a una sintesi plastica con accenni
primitivisti e cubisti; con questi disegni - in parte raccolti, con
altri da lui eseguiti negli anni Dieci e Venti, nel Civico Gabinetto dei
disegni del Castello Sforzesco di Milano - partecipò alle mostre
organizzate sul tema bellico dalla Famiglia artistica nel novembre del
1915 (Esposizione di artisti sotto le armi) e nel dicembre 1915 -
gennaio 1916 (Mostra di impressioni di guerra).
Rientrato a Milano a guerra terminata, riprese i contatti con l'ambiente
futurista e dell'arte d'avanguardia, vivendo i dubbi e le perplessità
del momento. Alla Grande esposizione nazionale futurista tenutasi a
Milano nel 1919 presentò dieci dipinti, tra cui L'uomo che scende dal
tram, Il ciclista (riprodotto in catalogo, dove è segnalato di proprietà
di U. Notari) e altri di proprietà di Marinetti e di M. Sarfatti; le
opere appaiono ancora improntate ai modi sintetici e dinamici della sua
produzione precedente il conflitto. Nel dicembre del 1919 con Russolo e
Marinetti firmò una circolare nella quale i tre si rivolgevano ad altri
artisti per individuare i possibili sviluppi pittorici attuali e poter
elaborare un nuovo manifesto. L'11 gennaio 1920 i tre firmatari, più M.
Sironi, sottoscrissero il manifesto "futurista" intitolato Contro tutti
i ritorni in pittura - redatto da Russolo l'anno precedente e pubblicato
nel catalogo della mostra futurista inaugurata nell'aprile del 1919 al
Winter Club di Torino - nel quale, in contrasto con il recupero di forme
e modi primitivi e classici proposto da Carrà e, in forma diversa, da
Severini, si sosteneva la necessità di proseguire gli assunti del
futurismo in direzione plastica e costruttiva. Sempre nel 1919 il Funi
partecipò, spinto anche dall'amicizia con il ferrarese I. Balbo, alla
riunione fondativa del fascismo, che ebbe luogo a Milano in piazza S.
Sepolcro.
Nel periodo dell'immediato dopoguerra il Funi si era inserito negli
ambienti dei salotti di Sarfatti e di Notari, che ritrasse nel 1921 in
un dipinto (collezione privata) di ispirazione rinascimentale e di
caratterizzazione contemporanea. In questi ambiti conobbe anche
l'industriale P. Preda, che nel 1920 lo ospitò, insieme con A. Martini,
per alcuni mesi in una casa di Rovenna, sul lago di Como, in cambio di
opere da loro realizzate nel periodo. I due artisti ebbero modo di
approfondire la loro ricerca in comune e di ritrovare motivazioni e
stimoli al fare dopo le incertezze del dopoguerra.
Tra il 1920 e il 1923 il Funi modificò decisamente il suo modo di
dipingere: passò dalle reminiscenze futuriste verso modi di nuova
solidità plastica, in una fissità sintetica che traduce il nuovo
intimismo in una lucida trasposizione dei riferimenti al passato in modi
affini alla maniera della nuova oggettività tedesca. Ne sono
testimonianza opere come Il bel cadavere (Milano, Galleria d'arte
moderna, collezione Boschi), del 1919, o, del 1921, Maternità, Mia
madre, Ritratto della sorella (Ferrara, Galleria d'arte moderna).
Il Funi prese parte alla Exposition internationale d'art moderne,
inauguratasi nel dicembre del 1920 a Ginevra, alla Prima Biennale romana
(1921) e alla Biennale di Venezia (1922), dove espose La terra e
Maternità; gravitando nell'orbita della milanese Bottega di poesia,
espose inoltre in occasione della prima Mostra d'arte, del gennaio 1922,
e quindi nella Mostra di pittura e scultura contemporanea, del novembre
successivo.
Come il Funi, anche altri artisti dell'area milanese si orientavano in
quel periodo verso una figurazione che riscoprisse valori del passato in
un nuovo equilibrio compositivo, ormai lontano dalle istanze
dell'avanguardia, preparando la poetica e la costituzione del gruppo Il
Novecento. Questo movimento sorse in seguito alle riunioni che si
svolsero presso la galleria Pesaro di Milano, alla presenza del
gallerista L. Pesaro, della Sarfatti, che cercava di sfruttare anche la
nuova situazione politica e la sua amicizia con Mussolini per affermare
una nuova tendenza artistica che potesse avere valore nazionale, e degli
artisti Bucci, Dudreville, Malerba, P. Marussig, U. Oppi, Sironi e dello
stesso Funi. Messa a punto la strategia di un'azione concertata dal
punto di vista delle opportunità espositive più che sul piano della
poetica, il gruppo si presentò con la mostra Sette pittori del Novecento
italiano, inaugurata il 26 marzo 1923 alla galleria Pesaro, alla
presenza di Mussolini. L'affermazione del gruppo si specificò meglio con
la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1924 in una sala unitaria
dedicata ai "Sei pittori del Novecento" (Oppi aveva accettato di esporre
da solo in una sala personale, su invito sollecitato da U. Ojetti,
creando i primi dissapori nel gruppo): il Funi presentò quattro opere, tra
cui L'architetto Chiattone e Una persona e due età, doppio ritratto
della sorella Margherita e della madre, quadro che si inscrive in
quell'atmosfera di realismo magico che tocca la più lirica produzione
dell'arte italiana nell'ambito del ritorno all'ordine.
Nei mesi successivi il Funi, insieme con Marussig, collaborò strettamente
con la Sarfatti nell'intento di allargare il raggruppamento al di là
dell'ambiente milanese e senza tener conto della composizione originale,
che era in crisi per la volontà di abbandonare Novecento manifestata da
Dudreville e per l'intenzione di non dar seguito agli accordi con L.
Pesaro. Nel nuovo comitato direttivo di Novecento si trovarono il Funi,
Marussig, Sironi e i nuovi A. Salietti, A. Tosi e A. Wildt, oltre al
gallerista Gaspare Gussoni, in sostituzione del Pesaro. Gli altri
novecentisti della prima ora mantennero comunque rapporti con il nuovo
comitato direttivo, aderendo tra i primi alle nuove iniziative che si
concretizzarono nell'organizzazione della prima Mostra del Novecento
italiano, inaugurata il 14 febbraio 1926 nel palazzo della Permanente di
Milano alla presenza di Mussolini. La mostra raccolse opere di più di
centodieci artisti su centottanta invitati; il Funi presentò Bautta
veneziana, L'Annunciazione e Lettura domenicale (Roma, Galleria
nazionale d'arte moderna), che andarono tutte vendute.
Tra il 1926 e il 1930 il Funi prese parte a tutte le più importanti
iniziative di Novecento: ad esempio alla Biennale di Venezia (1926,
1928); alle esposizioni del Carnegie Institute di Pittsburgh; a quelle
al Musée Rath di Ginevra, alla Kunsthaus di Zurigo e allo Stedelijk
Museum di Amsterdam (1927); a Milano, alle mostre organizzate dalle
gallerie Milano, dirette da Gussoni e Scopinich, e alla II Mostra del
Novecento italiano (1929).
Nel 1925 la Sarfatti, nella monografia sul Funi edita da Hoepli,
considerava l'artista erede della tradizione classica e rinascimentale
ferrarese e riteneva che i caratteri di essenzialità e di grandezza del
comporre che il Funi dimostrava avrebbero potuto tradursi in efficaci
soluzioni ad affresco, prefigurando la fortuna della sua successiva
attività di decoratore murale. Proseguendo infatti in una produzione che
introduceva temi classici anche all'interno dei paesaggi o delle
composizioni moderne o mitologiche, soggetti frequenti di questi anni
accanto alle bagnanti e ai nudi femminili, il Fini si approssimò a
soluzioni nuove, che poté svolgere a partire dal 1930 con le frequenti
richieste di realizzazioni ad affresco in occasione delle grandi
esposizioni, come la Triennale di Monza del 1930 e la Triennale di
Milano del 1933, o di decorazioni di chiese e palazzi pubblici.
A Monza nel 1930, per invito di Sironi, che si stava attivando
teoricamente e praticamente in una ripresa dell'impegno estetico capace
di tradursi in forme anche monumentali, il Funi dipinse affreschi dedicati
ai personaggi dell'Eneide nella sala del Vestibolo; l'anno seguente gli
furono commissionati affreschi sulla Vicenda di s. Giorgio per le
lunette laterali e il catino absidale della chiesa milanese di S.
Giorgio in Palazzo; nel 1932 partecipò a Roma alla Mostra della
rivoluzione fascista eseguendo, in collaborazione con D. Rambelli e M.
Marini, le decorazioni per la sala "C". Quindi, dopo avere brevemente
soggiornato a Parigi alla fine del 1931 e aver partecipato alla Biennale
di Venezia del 1932 con un'antologica di ventisette opere, tra le quali
La donna coi pesci (o La figlia del pescatore), Adone morente e
Publio
Orazio uccide la sorella (Berlino, Staatliche Museen), il Funi prese parte
al programma decorativo per il nuovo palazzo della Triennale di Milano.
Questi lavori furono approntati per l'edizione del 1933 della
manifestazione, che segnò l'affermazione della tendenza al muralismo,
sostenuta poi dal Manifesto della pittura murale di Sironi, sottoscritto
da Carrà, M. Campigli e dal Funi, e pubblicato su La Colonna (n. 1,
dicembre 1933).
Nel palazzo della Triennale il Funi rappresentò I giochi atletici italiani
che si ispiravano a soggetti classici nell'esaltazione di una fisicità
trasposta in visione mitica, in sintonia con il clima culturale e
politico; anche questo affresco, come gli altri realizzati per
l'occasione, fu cancellato al termine dell'Esposizione. Non è stato
rimosso, invece, il mosaico del pavimento nella sala centrale,
realizzato dal Funi in collaborazione con E. Fini.
Altri interventi ad affresco gli furono richiesti per la chiesa del
Cristo Re a Roma (1934) e quindi per la sala della Consulta nel palazzo
comunale di Ferrara, dove da qualche anno aveva intrecciato fecondi
rapporti con la cerchia di I. Balbo. A Ferrara il Funi dipinse un ciclo,
portato a termine nel 1937, comprendente Il mito di Ferrara, articolato
in una serie di scene ispirate all'Orlando furioso e alla Gerusalemme
liberata, e ad altri episodi di origine mitologica e classica (Mito di Fetonte, Storia di Ugo e Parisina, Caduta dei giganti). Fra 1936 e 1937
eseguì altri dipinti murali per l'atrio d'ingresso del palazzo della RAS
a Trieste e per la sede della Banca nazionale del lavoro a Roma,
edificata da M. Piacentini. Si recò quindi in Libia, su invito di Balbo,
dove decorò la chiesa di S. Francesco a Tripoli, con episodi della vita
del santo e altri soggetti francescani, e una parete del palazzo del
governatore, nel quale immortalò l'Arrivo di Mussolini a Tripoli,
avvenuto nel marzo 1937.
Numerose furono anche negli anni Trenta le occasioni espositive dove
presentò prevalentemente dipinti da cavalletto in cui i temi classici
erano frequenti; oltre a partecipare a molte esposizioni ufficiali,
quali le rassegne sindacali, la Biennale di Venezia (1930, 1932, 1940,
1944) e la Quadriennale di Roma (1931, 1939), tenne personali nel
capoluogo lombardo presso la galleria Milano e la galleria Il Milione.
Il Funi intanto, che già negli anni Venti aveva dimostrato interesse per
la didattica impartendo lezioni private a Milano o nei soggiorni a Forte
dei Marmi, e quindi avviando una scuola d'arte in un appartamento di via
Vivaio, insieme con Marussig e T. Bortolotti, il 16 ottobre 1939 ricevette
l'incarico di insegnante di figura disegnata presso il liceo artistico
dell'Accademia di Brera, e in seguito ottenne che venisse istituita per
lui una cattedra di affresco presso l'Accademia stessa, su sua esplicita
richiesta al ministro Bottai.
Nei primi anni Quaranta fu impegnato ancora per alcune importanti
decorazioni parietali quali la realizzazione a Milano di uno degli
affreschi per il palazzo di Giustizia e del mosaico per il soffitto
della sala riunioni della sede della Cassa di risparmio delle provincie
lombarde di via Verdi, oltre agli affreschi per la sala della facoltà di
medicina e chirurgia dell'università di Padova; restano invece solo i
cartoni preparatori dei dipinti che aveva avuto l'incarico di dipingere
nel palazzo dei Congressi a Roma in vista dell'Esposizione universale
del 1942; interrotti rimasero anche i lavori per la cappella Quilici a
Bruntino di Bergamo.
Divenuto direttore dell'Accademia di Brera nell'ottobre del 1944, nel
momento in cui gli eventi bellici provocarono una sospensione
dell'attività didattica, si trasferì con la sorella Margherita a Rovetta,
nel Bergamasco, dove si ritrovò con Tosi, lasciando la casa di Milano
all'amico R. De Grada, che vi ospitò riunioni di partigiani nei mesi
della lotta di liberazione. Nel 1945, rassegnate le dimissioni da
direttore dell'Accademia di Brera, anche per le indagini in corso sulle
compromissioni politiche dell'istituzione, accettò l'incarico di
professore di pittura e quindi di direttore dell'Accademia Carrara di
Bergamo. Nel 1947 fu reintegrato nella cattedra di affresco anche
nell'Accademia di Brera, proseguendo l'attività didattica fino al 1961;
dal 1957 fu nuovamente nominato direttore della Braidense, succedendo ad
A. Carpi.
In questi anni fu molto attivo nell'ambito dell'istituzione scolastica,
partecipando a numerose commissioni giudicatrici di concorsi e
dedicandosi con passione alla formazione delle nuove generazioni
artistiche; dimostrò sempre grande apertura nei confronti delle
direzioni artistiche prese dai suoi allievi, a volte molto distanti
dalle sue. Realizzò inoltre molte imprese decorative, come quelle
milanesi per l'atrio del teatro Manzoni (1946), per la Casa Reise
(1948), per le sedi del Banco di Roma (1951) e per la Banca generale dei
crediti (1959); e quelle bergamasche, tra gli anni Quaranta e Cinquanta,
per il cinema S. Marco, per la Banca popolare di Bergamo e per la sala
consiliare del Municipio. Numerose furono anche le commissioni
ecclesiastiche.
La sua pittura nel dopoguerra proseguì sulla falsariga delle conquiste
di un misurato classicismo, venato di accenti lirici e metafisici, e
frequenti furono le occasioni espositive. Numerose le personali in
gallerie private, soprattutto a Milano, dove fu seguito dagli anni
Cinquanta dai galleristi Pagani e, poi, Colombo che gli fu
particolarmente vicino negli ultimi anni; venne invitato alla Biennale
di Venezia (1952, 1960); la sua opera fu accolta in molte importanti
rassegne storiche sull'arte italiana della prima metà del secolo.
Negli ultimi anni visse con la sorella Margherita a Milano, abitando a
piazza della Repubblica, con studio in via Cavalieri, in costante
contatto con gli amici di vecchia data, che incontrava anche nel villino
di Forte dei Marmi, località da lui frequentata assiduamente a partire
dagli anni Venti.
Morì il 26 luglio 1972 ad Appiano Gentile.
(Francesco Tedeschi - Dizionario
Biografico degli Italiani - Volume 50 - 1998)
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