Trieste, 10/05/1879 - Pavia, 12/10/1937
Frequentati gli studi artistici a Trieste, passò poi a Monaco attratto
dall'orbita dei Secessionisti, indi a Parigi ove risentì dell'influenza
di Paul Gauguin e di Henri Matisse. Venuto definitivamente in Italia
ritrovò se stesso. Fornito del dono dell'intuizione artistica, della
facoltà dell'elaborazione pittorica, egli fu artista personalissimo.
Nessuno più di lui, come scrisse il Somarè, seppe rendere espressiva
l'estasi materiale di una natura morta, la stasi di una figura femminile
piena di languori inerti, l'aria incantata di un adolescente ottuso. Partecipò attivamente alle mostre del '900 con Carlo Carrà,
Mario Sironi, Arturo Tosi, Achille Funi, Anselmo Bucci, Leonardo
Dudreville, Gian Emilio Malerba, Ubaldo Oppi, tenute la prima nella
Galleria Pesaro a Milano nel 1923 ed a Venezia, alla Biennale, l'anno
successivo, mostre che si susseguirono poi numerose in Italia e
all'estero, imponendosi alla maggior parte delle manifestazioni
artistiche col loro particolare tono "novecentista".
Negli ultimi anni
il Marussig aveva ripreso la tradizione degli impressionisti specie nel
paesaggio. Rappresentato nelle principali mostre nazionali ed
internazionali, molti suoi lavori sono raccolti in parecchie Gallerie
pubbliche e private, e fra essi: Fanciulla che legge, Natura morta
(Galleria d'Arte Moderna di Milano); Testa di bimba (Galleria d'Arte
Moderna di Genova); Fanciulla (Museo Revoltella di Trieste);
Paesaggio (Galleria di Novara). Gallerie dell'estero: Nudo
a Montevideo; Istrumenti musicali ad Amsterdam; Fanciulla con cesto di
frutta a Parigi; Istrumenti musicali a Mosca. Fra le Gallerie private
un buon numero di quadri sono presso la Raccolta Finazzi di Bergamo.
Citiamo: Natura morta; La moglie del pittore; Paesaggio; Bagni a Sturla; Figura. Alla XXI Biennale Veneziana (1938) venne fatta una
mostra commemorativa che comprendeva ben trentaquattro opere. Fu anche
incisore assai pregiato. Nel 1950 la Galleria S. Fedele di Milano gli ha
allestito una postuma, che ebbe ottimo successo.
(A. M. Comanducci)
Nacque a Trieste il 16 maggio 1879 da Pietro e da Erminia Dissopra,
penultimo di cinque figli, in una famiglia di agiati commercianti,
gestori di un emporio di abiti confezionati. Il padre era inoltre un
attento collezionista di oggetti d'arte; e il nonno paterno, Piero, un
pittore dilettante. Nell'ambiente romantico e d'impronta letteraria
della Trieste di fine secolo, crocevia culturale ed economico verso
l'Europa, a partire dal 1887 il Marussig apprese i primi fondamenti
della pittura sotto la guida di E. Scomparini, insegnante di disegno e
arti decorative alla scuola industriale della città e attivo pittore e
decoratore a Treviso. La prima produzione artistica del arussig. è
incentrata su ritratti e autoritratti, tra i quali il Ritratto della
sorella minore Eugenia (1898), la cui forza psicologica è esaltata
dalla semplificazione e dalla resa plastico-luminosa dei piani
(collezione privata). Tra il 1899 e il 1901 il Marussig viaggiò per
l'Europa fermandosi alcuni mesi a Vienna e poi a Monaco, dove frequentò
l'Accademia fino alla primavera del 1901.
Aderì alla Secessione, stringendo anche un legame di amicizia con uno
dei suoi promotori, F. von Uhde, ed entrò in contatto con M. Liebermann,
L. Corinth, G. Klimt e F. von Stuck. La conoscenza dei pittori più
rappresentativi dell'epoca fu determinante nel fornire al Marussig una
pluralità di stimoli innovativi; tornato a Trieste, approfondì ed
elaborò le esperienze vissute stemperando i toni cupi e gravi dello
Jugendstil nell'intimismo sintetico dei Nabis, corrente migrata nella
cultura monacense dell'epoca. Nel 1903 sposò Rina Drenik e con lei si
stabilì a Roma fino al 1905. A Roma ebbe modo di frequentare gli
ambienti divisionisti, di studiare la pittura classica, dimostrando
un'autentica predilezione per Tiziano, e di dare avvio, a suo dire, alla
propria attività espositiva. Sempre nel 1905 soggiornò brevemente a
Venezia e, in estate, si recò a Parigi, dove rimase per gran parte
dell'anno successivo. Nella capitale francese poté confrontarsi con
artisti quali, tra gli altri, P. Cézanne, V. van Gogh, P. Gauguin, G.
Seurat e M. Denis ed ebbe probabilmente contatti diretti con H. Matisse.
Elaborò allora, attraverso l'apprendimento delle modalità pittoriche dei
maestri d'Oltralpe, una propria personale interpretazione del
postimpressionismo.
Tornato a Trieste nel 1906, acquistò una vecchia villa padronale con
giardino sulla collina di Chiadino. La villa divenne luogo di ritrovo
per parenti e amici, ma, soprattutto, il rifugio in cui isolarsi a
meditare e praticare assiduamente la pittura en plein air. Il giardino,
infatti, il panorama verso le colline di Muggia e quello dalla terrazza
verso la città, furono per il Marussig, nel corso degli anni, fonte
d'ispirazione per molti dipinti. Nel 1906 partecipò a Milano alla mostra
organizzata in occasione dell'inaugurazione del traforo del Sempione.
Tra il 1907 e il 1908, terminato il periodo dei viaggi formativi, si
dedicò intensamente alla pittura e, sporadicamente, anche all'incisione,
mettendo a punto un linguaggio personale di ampio respiro europeo e,
allo stesso tempo, intimista e intellettuale, che, in particolar modo
nelle figure in atteggiamento rilassato o pensoso, fonde luce e colori
postimpressionisti contornati da linee costruttive e nervose di
ascendenza secessionista. Con l'inizio degli anni Dieci diviene più
ricorrente l'utilizzazione del colore di matrice espressionista. Nel
1913 partecipò alla II Esposizione nazionale d'arte di Napoli, nella
duplice veste di artista e di organizzatore della sala triestina; nel
1914 tenne la propria prima personale alla galleria Cassirer a Berlino.
Scarse sono le notizie relative agli anni della guerra, trascorsi
probabilmente dal Marussig nella sua villa di Trieste, anche se alcune
fonti biografiche informano che subì l'internamento in un campo di
concentramento. Nel 1919, oltre a partecipare alla Quadriennale di
Torino, presentò in autunno una mostra antologica alla galleria Vinciana
di Milano, dove le ottime recensioni lo spinsero a trasferirsi; lì
conobbe e divenne amico di Margherita Grassini Sarfatti e frequentatore
assiduo del suo salotto. Dopo il periodo di isolamento artistico, il
Marussig trovò a Milano un ambiente consono allo sviluppo della sua
ricerca pittorica. Divenne amico anche dei molti artisti che avevano
esposto con lui, tra i quali C. Carrà, M. Sironi, A. Funi, F. Messina,
L. Dudreville e A. Bucci. A Milano erano gli anni dei Valori plastici; e
i fondamenti della pittura del Marussig si svilupparono in una ricerca
volta alla plasticità delle figure e all'intensificazione delle ombre.
Il suo linguaggio abbandonò i linearismi secessionisti e la
frantumazione divisionista per divenire più solido; le figure e gli
oggetti, trattati allo stesso modo, si ingrandiscono e perdono di
anedotticità acquistando una monumentalità scultorea. In spazi costruiti
su geometrie diagonali, dai colori smorzati, tutto appare organizzato in
volumetrie schiacciate. È azzerata la gerarchia tra spazio, oggetti e
figure e la psicologia di queste ultime non viene più resa con il
dettaglio ma con linee e colori che trovano eco negli elementi intorno a
esse. Abbandonate dunque le reminiscenze espressioniste, il Marussig si
orientò verso un codice linguistico più strutturato e classico,
rafforzato, durante la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1920,
dal contatto con alcune opere di Cézanne.
Nello stesso anno il Marussig partecipò alla mostra organizzata per
l'apertura della galleria d'arte diretta da M. Buggelli, insieme con
altri artisti tra cui Bucci, Dudreville, Funi, Sironi, A. Martini,
Carrà, G. De Chirico, L. Russolo e G. Zanini. L'anno successivo fu
presente alla I Biennale romana al palazzo delle Esposizioni con un
Vaso di fiori e una Fanciulla che legge (Milano, Galleria
civica d'arte moderna). Nel 1922 partecipò nuovamente alla Biennale di
Venezia (alle cui successive edizioni espose regolarmente fino al 1936)
e intensificò i suoi rapporti con gli artisti milanesi prendendo parte a
quella che fu, di fatto, la mostra preambolo al movimento Novecento: la
collettiva "VIII Catalogo d'arte" tenutasi alla Bottega di poesia a
Milano. Con Bucci, Dudreville, Funi, U. Oppi, E. Malerba, Sironi e
Margherita Sarfatti il Marussig si incontrò regolarmente alla galleria
Pesaro allo scopo di fondare un movimento rivolto alla ricerca di una
moderna classicità e alla sintesi formale. Nel 1922 egli fu dunque tra i
protagonisti della prima mostra di Novecento alla galleria Pesaro.
Essi iniziarono a presentare a rotazione un quadro nella vetrina della
galleria impegnandosi a esporre solo insieme o con il parere di tutti
gli artisti, anche se, tra il 1923 e il 1926, ci furono alcune
defezioni. Nel 1924 il gruppo avrebbe dovuto presentarsi compatto alla
Biennale di Venezia, ma Oppi abbandonò il movimento perché gli fu
offerta una sala personale. I restanti "Sei pittori del Novecento" si
presentarono quindi alla kermesse veneziana commentati da Margherita
Sarfatti; il Marussig espose quattro dipinti tra cui Autunno
(Rovereto, Museo d'arte moderna e contemporanea), che rivela una
riflessione allegorico-poetica e melanconica sulla natura e la vita
umana. Il movimento non ottenne, però, il successo sperato; Bucci,
Dudreville e Malerba si dimisero e il gruppo si sciolse per
ricostituirsi l'anno seguente con il Marussig nel comitato direttivo
insieme con Margherita Sarfatti. Al nuovo gruppo aderirono Funi, A.
Salietti, Sironi, A. Tosi e A. Wildt. L'idea di Margherita Sarfatti e di
Funi era di mantenere l'unitarietà del gruppo; tale posizione, che
implicava la chiusura verso altri artisti, era appoggiata dal Marussig,
ma avversata da Dudreville e da Bucci che, per protesta, si dissociarono
durante l'inaugurazione della mostra alla galleria Pesaro del 1926, dove
presentarono invece le loro opere con il Marussig, Funi, Sironi, Oppi e
Malerba. Per tali divergenze Dudreville definì il Marussig un "bordone
di controcanto", asserendo che si appoggiava a Margherita Sarfatti
poiché privo di ambizione.
In effetti il Marussig, fin dagli esordi di Novecento, discostandosi
dalla politica imperante, non aderì all'estetica adottata dal fascismo
e, conseguentemente, fu escluso dal sistema dei premi e delle
esposizioni di regime. In un primo tempo fece parte degli artisti
raccomandati da Margherita Sarfatti al senatore F. Gussoni perché
fossero da lui stipendiati e partecipò alle esposizioni nella galleria
Gussoni aperta dal senatore in via della Croce rossa (divenuta poi
galleria Milano); ma alla morte di questo il Marussig, essendo
antifascista dichiarato, fu esonerato dall'incarico di fornire
mensilmente uno o due quadri dietro compenso.
Di fatto, il Marussig, estremamente colto e raffinato, pur aderendo
all'aspetto umanista con il quale il movimento si presentò al pubblico,
non accettò neppure la retorica presente nelle proposizioni di Novecento
e, nonostante avesse abbandonato in questi anni il tema del paesaggio
per dedicarsi alle figure e alle nature morte (soggetti consoni alle
indagini del gruppo), il suo discorso artistico conservò una spiccata
autonomia, in cui sia i solidi volumi nitidamente definiti e organizzati
all'interno di spazi dai piani inclinati sia le figure, che pure
grandeggiavano in composizioni dal taglio ristretto, riacquistarono, già
dal 1925, una dimensione pittoricistica e, verso la fine del decennio,
una colorazione più brillante rispetto ai toni spenti prediletti dai
protagonisti del movimento. I dipinti Igea (1924) e
Bagnante (1925), entrambi in collezione privata, sono esempi di
figure afferenti al pieno stile monumentale di Novecento, ma
riconducibili a uno dei molteplici percorsi del Marussig. Egli, infatti,
non coinvolto nelle commissioni pubbliche, non indagò la tecnica
dell'affresco sul quale Sironi invitava gli artisti a cimentarsi e
continuò invece i suoi studi approfonditi sui problemi interni alla
pittura da cavalletto, mantenendo una naturalezza e una libertà
d'espressione che spesso difettò agli altri artisti di Novecento. La
Venere addormentata del 1926 (collezione privata), per esempio,
rivela le meditazioni del Marussig su analoghe composizioni venete di
Giorgione (Giorgio da Castelfranco) e, soprattutto, di Tiziano.
Il Marussig, forse anche per il suo carattere schivo, non fu figura di
spicco all'interno del gruppo e restò estraneo alle polemiche che
sorsero in seno al movimento verso la fine del decennio, proprio quando
si manifestò in lui un rinnovato interesse per il paesaggio, che
coincise con i suoi soggiorni sui laghi lombardi, a partire dal 1928, e
in Liguria. Dal 1929 trascorse lunghi mesi a Sturla, sulla costa ligure,
in compagnia di Messina, uno dei suoi amici più intimi. Il lago di
Iseo (1932: Milano, Galleria civica d'arte moderna) mostra il nuovo
indagare delle pennellate libere su oggetti dai forti contorni.
Scioltezza pittorica e temi femminili tornarono inoltre ad animare
ricerche cominciate durante il periodo triestino. Nel 1930, con lo
scultore T. Borlotti e con Funi, creò una scuola d'arte aperta a tutti e
basata, come le antiche botteghe, sui principî della pratica artistica.
Dopo questa data il Marussig, seppure meno coinvolto nel sistema
espositivo pubblico, continuò a essere presente alle mostre di
Novecento, in Italia e all'estero, e a frequentare gli amici più cari
come Tosi, Salietti e Messina, ma anche M. Reggiani, Funi e Sironi. Nel
1931, nonostante Margherita Sarfatti fosse nella commissione della I
Quadriennale romana, il Marussig non venne invitato. Partecipò alla
XVIII Biennale di Venezia nel 1932 e, nel 1935, furono esposte tre sue
opere alla Quadriennale di Roma.
Alla XX Biennale veneziana del 1936 espose Natura morta con fichi
e La lettrice (entrambe nelle Civiche Raccolte di Milano). La
lettrice, come altre sue figure in interno, anticipò quella pittura
sviluppatasi dopo la morte del Marussig in seno a Corrente (movimento
che lo omaggiò inserendo ben quattro opere nella collettiva del gruppo
alla Permanente milanese del 1939). L'amico Reggiani fu il tramite per
nuove indagini sull'astrattismo nel contesto della galleria Il milione:
il Marussig partecipò infatti alla mostra "Venti firme" del 1937 (dove
esposero artisti che indagavano l'astrattismo accanto a quelli che
aderivano al Ritorno all'ordine) e alla rassegna di arte moderna a villa
Olmo organizzata a Milano da A. Sartoris. Ammalatosi di cirrosi epatica,
il Marussig morì, dopo una lunga degenza, a Pavia il 13 ottobre 1937.
(R. Canuti - Dizionario Biografico
degli Italiani - Volume 71 - 2008)
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