Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte diretta da Ugo Ojetti, Milano-Roma, 1924-25)

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IL PITTORE ANSELMO BUCCI

 
E lo stesso appariva evidente nei quadri venuti dopo. Nella serie delle vedute di Orvieto ov'è uno scrupolo tenace che solo nella penombra umida della `Cantina" si permette stesure saporose di impasti; nelle due stupende marine. "I bagni a Fano" e "La foce dell'Arzilla" tanto ariose nel respiro vasto dei cieli, eppure tanto salde di prospettiva nelle sfuggite degli stabilimenti e delle rive, e delle onde; nel "Lampo" audace tela ove sotto il livido abbaglio delle saette guizzanti, tra nuvole grevi, delle case rivelano con implacabile nitidezza il loro sito, e la loro cubatura, e i loro dettagli di colpo. Ma meglio ancora che in questi di paese appariva in due grandi quadri di figura; tre veri quadri perché concepiti quale totalità compiute e definitive entro il limite della tela con una idea rappresentativa centrale. Voglio dire gli "Amanti", l "Odéon" e i "Giocolieri", le teste, le mani, e i corpi sono uno a uno scolpiti quasi nella polpa del colore, tale è il loro risalto plastico, dalla incisività dei contorni che isolano, fasciano, descrivono la forma. E quando con mezzi siffattamente palesi, si giunge senza trucchi ad affrontare difficoltà come quella di riempire negli "Amanti", il davanti della tela con due nudi, abolendo ogni sfondo, come l'altra di staccare gli uni dagli altri i profili che formano nella sinistra dell'Odéon una sfuggente infilata, come quella infine di far torreggiare bene nell'aria in un arco teso il Giocoliere sullo scorcio della donna distesa a sostenerlo, bisogna pur riconoscere in chi ciò compia un artista padrone ormai del fatto suo.
Quali dunque i mezzi con i quali Anselmo Bucci ha saputo costringere l'esuberanza del suo talento entro un campo di ricerche ben determinato? Prima di tutto l'osservazione obiettiva del vero. Bucci non è un immaginoso suscitatore di fantasmi astratti entro schemi idealistici o decorativi, nè un sentimentale ricercatore di emozioni letterarie o filosofiche. Egli adora la vita con la dedizione piena dei temperamenti entusiastici e fattivi. Per questo dalla raffigurazione della vita mai non si è staccato, pronto a coglierne la bellezza nel volto così della campagna, come delle città, degli uomini e delle cose. Un realista se volete e anche, conseguenza naturale dell'epoca in cui si è formato, un impressionista, cioè un artista che affida tutto se stesso alla visione istintiva immediata, senza calcoli, nè teorie. Ma il suo desiderio stesso di conquistare pezzo per pezzo questa verità, quasi a ricostituirne oltre che l'apparenza anche la sostanza, l'ha distinto dai realisti e impressionisti tipici di Francia.
Italiano, schiettamente italiano, sempre egli porta nella sua pittura un senso di costruzione architettonica a piani e volumi logicamente innestati gli uni agli altri. Si tratti infatti di un paesaggio o d'una figura, sempre è l'ossatura di essi che prima colpisce per il modo possente con la quale appare articolata. E composizione, disegno, colore, tutte le parti del linguaggio pittorico corrono egualmente a tale effetto: la composizione in quanto distribuisce con equilibrio gagliardo di chiaro scuro i vari piani, il disegno che circoscrive e individua, netto, ogni elemento figurativo, il colore cui l'uso prevalente delle terre conferisce un peso, una materialità da palpare quasi con le mani. Sicchè i quadri di Anselmo Bucci a guardarli non danno mai quell'impressione di fragilità caratteristica di tanta pittura moderna, che a soffiar sulla tela diresti le pennellate debbano volar via lieve pulviscolo iridescente, e sembrano piuttosto operati nel tessuto stesso della tela, a somiglianza di un arazzo, con laboriosa complicazione di cromatismi dai toni ricchi e sonori senza bianchi.
Basta, credo, questo a definire Anselmo Bucci un artista d'oggi, tipicamente; un artista cioè sensibile alla ricerca attuale di superare l'impressionismo per rientrare, come diceva Renoir, nei ranghi della tradizione classica. Solo che egli con una coerenza tutta a suo onore, non si è disdetto mai in tale ricerca, nè ha mai interrotto una linea logica e progressiva di sviluppo. Partito dall'impressionismo avendo già in se, per tendenza naturale, l'istinto della corposità plastica, verso di questa ha orientato sempre meglio la sua visione, con una concentrazione d'energia tanto più lodevole quanto meno facile in lui. Ed è così giunto ad una formola pittorica intermedia tra pura sensibilità e ragione critica.

Forse non altrove vanno cercate le ragioni che, con evidenza da tutti riconosciuta, distinguono le sue opere da quelle di Malerba e compagni, nella sala del "novecento" alla Biennale Veneziana. Di fronte alle loro opere frutto di programmi intellettualistici, i tre quadri di Bucci spiccano per la bella foga pittorica quand'anche indigata dalla volontà. Volontà che se affiora troppo palese nella "Scuola", ove la ricerca psicologica di caratterizzare tutte quelle testoline di bimbe naufraga in minuzie analitiche già assai meglio risolte ne "L'Odéon", se irrigidisce un poco la larga visione poetica de "La terra" con i suoi filari di alberi e di montagne lontananti nella luce, bella, si, ma inferiore alla "Foce dell'Arzilla", ritrova invece il suo giusto posto nei "Pittori". Una gran tela che associa quanto di meglio l'artista ha sinora compiuto studiando la figura umana e il paesaggio: modellata quella con un sicuro risalto della forma corporea nelle mani, nelle teste, nelle pieghe, questo nella successione prospettica degli speroni montani, fra i quali s'adagiano pittoresche intorno al ponte le case di Fossombrone. Su tutto il respiro arioso di un folgorante cielo sereno. E dinanzi eretto sull'orizzonte l'autore stesso che dipinge.
In questo autoritratto vi è proprio tutto Anselmo Bucci, non solo nelle fattezze, non solo nella fattura; ma anche in quell'atto e in quel vestito un po' fanfarone. Fanfarone! Una parola che gli piace dire di se. Ricordate? "per fanfaronata lasciai gli studi classici a sedici anni, quelli accademici a diciassette, la famiglia a diciotto, e a diciannove l'Italia". E ora eccolo lì, dopo tanto tornato a casa, eccolo lì a lavorare in vista del paese nativo. E chissà che nella adunazione degli elementi significativi composti con sapiente equilibrio egli non abbia pensato ad un'intima allegoria di se stesso, della sua vita, della sua arte, che, sulla soglia della maturità, si raccoglie nella consuetudine delle cose più care per spiccare il volo decisivo.

ANTONIO MARAINI                   

 


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