Pillole d'Arte

 
   

 
(Fonte : Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova - 1821)

BEATRICE

Busto in marmo

Per esempio di lei beltà si prova.   Dante


Ella è cosa fuori d'ogni dubbio, avere gli individui di una medesima nazione una fisonomia loro propria, particolare, e distinta, la cui mercè l'occhio anche meno esercitato può tosto discernere la loro origine. Nella classica Grecia si videro i bellissimi modelli, e gli ingegni meravigliosi de' quali fu madre feconda, giovarsi scambievolmente, gli uni il bello additando, e gli altri informando quelle grandiose, e peregrine idee, che una bizzarra religione, un cuore ardentissimo, e una calda immaginazione veniva loro dettando. E in tanta eccellenza fecero essi salire le proprie dottrine sul bello, da magnifici esempi accompagnate, che i canoni per essi determinati, furono generalmente ricevuti, e più particolarmente dagli Italiani, che sono in ogni buona arte i più degni lor successori. Ma volendo Canova effigiare Donna Italiana celebratissima, credette di dover abbandonare per poco quelle immagini di Greca avvenenza all'aurea sua mente sì famigliari, affinché punto non s'immischiassero nel formare il volto di quella Beatrice, che il grande Alighieri seppe rendere ne suoi versi immortale. In essa egli volle rappresentarci quel carattere distintivo 'Italiana bellezza, il quale piuttosto dissimile, che disuguale dal Greco, può, allorché con grande accuratezza lo si attinga all'inesausta fonte del bello, grandemente esso pure piacerci.

Fattosi quindi compagno al divino Poeta, e presolo quasi a propria guida per mano, ricreò la propria fantasia di quell'immagine stessa, e vide anch'egli Beatrice,
         Tutto che il vel, che le scendea di testa,
non la lasciasse liberamente vedere, e videla volta verso il Poeta si lieta come bella, con gli occhi pieni di faville d'amor sorridergli sì, che Dio parea nel riso gioire. E tale veramente quale gli apparve scolpilla. Se non che il velo, che giù le scende della testa, e le belle sue guancie rabbellisce, la curiosità sofferma di chi la mira.

Or dimmi, Canova, dimmi, di quai pieghevoli stami tessesti tu questo sottilissimo, e trasparente velo, che vincendo quasi i confini dell'arte tua , e dello stesso tuo ingegno, alzarlo arditamente potesti, ove t'occorse, lavorarci sotto quelle delicate picciolette orecchie, che trattate appajono con sì grande diligenza ed amore? Ma no! tu non alzasti il marmoreo velo, che sentendoti pari agli spiriti le forze, osasti con felice ardimento, e con incomprensibile artifizio tant'oltre penetrare col tuo divino scarpello, e piacqueti pure far si, che nel volto oltre ogni dire simpatico di Bice, ed in quel

        Riso, che sol dall' occhio si sentiva,

chiaramente si manifestassero quegli attributi dell'animo di lei, che quasi a maggiore testimonianza di verità ci vengono ricordati dal Boccaccio, di grande gentilezza, piacevolezza, e modestia. E già parmi vederla schiudere in questo punto le labbra, per dirmi

                 ......... soave, e piana

Con angelica voce in sua favella,

quelle tante saggie, e peregrine cose, che l'infiammato Poeta compiacquesi di porle in bocca. La chioma è delle più eleganti, che uscite sieno dalla mano d'un sì dotto artista: con grazia aggirandosi, e lievemente insinuandosi, ora in ben ristrette, ed ora in più larghe anella, asseconda a meraviglia, e fa valere i lineamenti del graziosissimo volto. Io penso che lo Scultore siasi oltre modo dilettato nel formare pur una volta, senza la catena dell'imitazione questo bello ideale Italiano, punto però non dipartendosi da quella scelta di parti, le quali separate dalla natura, quasi a maggiore compiacenza dell'uomo, non è dato che al solo ingegno di riunire. Facoltà meravigliosa, la quale, senza punto scemare quanto si deve al sommo artefice,che creò, è dell'arte imitatrice il più luminoso trionfo.