Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte diretta da Ugo Ojetti, Milano-Roma, 1921-22)

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IL PITTORE GIUSEPPE RICCI

 

Entrando nella sala che in una recente mostra d'arte torinese ospitava una trentina di quadri di Giuseppe Ricci, ho avuto il senso di rivedere l'opera di un classico: misura, coscienza degli scopi e dei mezzi, serenità ed equilibrio: qualità rare, tanto più preziose in confronto delle anarchie modernissime. Eppure Giuseppe Ricci è quasi un ignoto per chiunque non sia vissuto in Piemonte. È morto da vent'anni, e la Galleria Nazionale d'Arte Moderna, che ha raccolto amorosamente tante nullità, non aveva fino a ieri nemmeno un suo quadro. Ne avrà dUe domani, e non de' maggiori. Anche a Torino, se fu stimato ed apprezzato, non destò mai gli accesi entusiasmi che suscitarono altri suoi colleghi.

Eppure, allo stringer dei conti, questo figlio di un banchiere ligure, trapiantato in Piemonte, questo agiato che dipingeva per suo piacere, questo avvocato, questo dilettante, è forse l'individualità pittorica più caratteristica e più armonica, più fresca e più vitale, che la pittura piemontese abbia avuto nell'ultimo trentennio. A distanza di venti anni egli trionfa agevolmente di tante altre nature di artisti coetanei che, perchè più rozze, sembravano più forti; che parevano promettere meraviglie, e che, o si esaurirono rapidamente, o non riuscirono a conquistare una personalità ben definita.

La modestia di questa fama si spiega. Gli artisti professionisti, sopratutto se venuti dal popolo, guardano talora con diffidenza e quasi sempre con qualche freddezza l'opera del "signore" che dipinge. D'altra parte quell'uomo signorilmente misurato e corretto, finemente ironico, che portava con parigina disinvoltura il cilindro, non poteva offrire ai giornalisti, creatori delle fame artistiche, gli spunti biografici pittoreschi da cui muove l'entusiasmo della folla.

Eppure è forse proprio da questa signorilità di nascita e di educazione che sorse la sensibilità delicata, la misurata armonia di quest'opera. Soltanto l'elaborazione dei secoli può dare quella disciplina interiore che aiuta l'ingegno a scoprire la propria via, a definire il proprio campo d'azione, che lo sostiene nella lotta impedendogli di sviarsi. La tradizione romantica aveva stimato necessaria la scapigliatura bohème alla genialità artistica; forse sarebbe ora di studiare il valore della nascita e dell'educazione nella creazione geniale. La sovrana misura che è nell'arte di un Leopardi non sarebbe tale se l'autore invece di nascere in una vecchia famiglia fosse stato figlio di un portinaio. 

La vita si può riassumere in poche righe. Nato a Genova nel '53, fece gli studi classici a Savona ed a Torino; qui si laureò in legge. Vi moriva, non ancor cinquantenne, nell'aprile del 1901. Cominciò a dipingere per diletto e fu per poco tempo allievo privato di Enrico Gamba. Ma dell'insegnamento di quel ferreo "linearista", che aveva appreso in Germania alla scuola dell'Overbeck e dello Steinle l'amore del contorno impeccabile, non direi che abbia conservato nulla, se non forse il gusto del disegno che si rivela nei suoi schizzi a matita ed a penna. Maggiore l'influenza del Bonnat di cui frequentò a Parigi per due anni lo studio.

Nelle prime opere del Ricci vi è infatti un riflesso del pesante realismo spagnuolo del maestro francese; così nel Mendicante seduto sui gradini di una chiesa: contorno faticosamente definito: ombre nere, pittura pesante, colorazione afosa. Nel quadro Pei libri di scuola, una madre con un ragazzo, vi è anzi, persino nei tipi (il ragazzo ricorda i pidocchiosi del Murillo), nei drappeggi duri e nell'ombre nere un richiamo diretto alla pittura spagnuola. Ma sono accenni rari: dovette liberarsene presto. Il quadro La fattucchiera, preziosa opera di transizione, mostra accanto allo scrupolo per il disegno "scritto" che nella testa della vecchia, che versa nella pentola gli ingredienti dell'incantesimo, riesce a una rara forza di penetrazione, un senso nuovo del colore, ignoto alla scuola del Bonnat (pag. 606). Guardando quelle carni dorate e quella veste granata mi chiedo se in quel momento il Ricci non fosse sotto l'influenza di un altro realismo di provenienza spagnuola, ma più luminoso e geniale, quello del Régnault. Quest'opera, che sembra un'accademia non finita, è pittoricamente gustosissima; è una delle cose più gustose del Ricci. Il corpo della ragazza nuda, bello di tono dorato, è manchevole di modellatura e dipinto con pesantezze di pasta che il Ricci abbandonerà, ma il fondo di un grigio rosa, il camino a piastrelle smaltate sono già accennati con una delicatezza leggera che scopre il Ricci futuro, e la natura morta del primo piano, caldaia, orciuolo, libri di magìa, candelliere col cero, è un'armonia di grigi caldi, mirabile di rapporti delicati e di maestria di pittura, tale che in una mostra moderna, fra i vassoi sbilenchi e le pere di verde crudo, potrebbe parere un puro capolavoro.

Il Ricci aveva dunque in sè facoltà di disegnatore stringente e di delicato armonista del colore di una realtà chiaramente modellata dal chiaroscuro. L'arte del Carrière col suo fascino di incertezza vaporosa, gli rivelò un mondo più squisito, più infuso di spiritualità e di mistero, più arioso e suggestivo. Non fu un'imitatore. Del Carrière non assunse nè la nebbia monocroma, nè gli occhi di smalto lucenti nel biancore sfatto delle carni, nè altre particolarità formali e tecniche; ne derivò soltanto le delicatezze ariose e la poesia avvolgente del chiaroscuro sfumante. Il più carrieresco dei suoi quadri è forse la piccola tela di una ragazza che si specchia, Colta in flagrante dalla madre, armonia di carni pallide evanescenti su un fondo vago di ombra bruna delimitata da un tappeto rosso; ma più spesso camminò da sè, non si rinchiuse in una formola e variò le tecniche, secondo l'argomento.

Dal realismo vivacemente colorito e dal chiaroscuro inciso della Fattucchiera, a questa nuova visione più sottile e sfumata giunse per gradi. L'Omero è uno di questi stadi (pag. 607). In altre mani il cieco burlescamente incoronato d'alloro che canta tenendo in mano la zampogna, non sarebbe uscito dai limiti di un'accademia di nudo. Qui v'è di più. Siamo già lontani dalla violenta modellatura con cui il Bonnat cercava di ispirarsi al Ribera. Nell'armonia superba fra le carni di un gialletto rosa e i bianchi dorati del lenzuolo che staccano sul grigio caldo del muro v'è una sensuale ricerca di pàtina antica, ma la visione complessiva è personale. Le forme sono fuse nell'aria, il colore è visto con una delicatezza squisita. V'è qualche legnosità e deficenza di modellatura nel torso, ma la testa bellissima di carattere è ottenuta con una finezza nuova e la gamba sinistra, modellata con pennellate incrociate e sfuggenti, colorita nelle ombre con tocchi freddi violacei, è una meraviglia di sapore pittorico.
A questa nuova e più delicata visione del colore, a questa finezza di tecnica scaltrita si ispirerà tutta l'opera futura del Ricci, determinando quello che ne sarà il carattere fondamentale: l'intimità di luce e di sentimento.

Quest'arte in sordina, delicata e leggera, egli la volse a svolgere umili motivi "di genere" : ragazze che intrecciano corone, signorine che fanno musica, "figlie di Maria", comunicanti, nozze, lezioni di ballo, addii alla stazione, fiori per l'onomastico, suore che preparano l'altare, ragazze che ornano il catafalco del venerdì Santo, spose di villaggio. In questi temi assai tenui la ragione efficente è prevalentemente pittorica: è la ricerca di un'armonia di attitudini in un'armonia di colore; ma se l'emozione umana non è la spinta determinante, la sensibilità sentimentale veste di gentilezza e di poesia quest'armonia pittorica: non ci troviamo mai dinanzi ad una pura compiacenza cromatica, ad un mero esercizio di virtuosità tecnica: c'è sempre sotto un'anima sensibile.

 

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