L'Imperatore di Germania, spirito vivace e animoso, il quale
non crede a sè precluso nessun campo del pensiero e
dell'azione, ebbe, in un suo discorso recente tenuto agli
artisti che contribuirono all'erezione delle esedre della
Siegesallee
biancheggianti tra il verde dei prati del mite Thiergarten,
ad occuparsi anche di scoltura, e levò un inno alla scoltura
tedesca, sintetizzandone il pregio col dirla immune dalle
correnti dell' arte moderna.
Questa augusta frase del focoso imperatore non è applicabile
alla sola plastica tedesca: in più d'un paese un nemico del
nuovo potrebbe ragionevolmente ripeterla. Non solo la
scoltura tedesca, ma la massima parte della scoltura
contemporanea si può dire "immune dalle correnti dell'arte
moderna".
Senonchè questo che parve il più bell'elogio all'imperiale
oratore è invece in realtà la più terribile condanna
dell'arte statuaria in generale e di quella tedesca in
ispecie. Ed è veramente curioso come persone colte ed
intelligenti siano vittime di questo singolare errore,
secondo il quale sarebbe precluso alla plastica ogni
tentativo di evoluzione. Il semplice criterio di analogia
dovrebbe render evidente a chicchessia che non può esser
proibito alla scoltura ciò che è universalmente ammesso come
lecito alla pittura. Ognuno dovrebbe comprendere che
limitare il campo della plastica ai modelli di Fidia e di
Michelangelo è come pretendere che la pittura non debba
uscire dai limiti dell'arte di Raffaello e del Tiziano. Ciò
nondimeno l'errore impera da tempo, ed anni ed anni
passeranno prima che sia vinto e fugato. Mentre la pittura
moderna è divenuta così libera d'ogni soggezione antica da
perdere addirittura di vista le più salde ed eterne
necessità dell'arte, la statuaria continua a bamboleggiarsi
in una retorica accademica, priva d'ogni relazione colla
vita e collo spirito moderno.
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La reazione contro l'accademismo imperante è cosa si può
dire di ieri. Essa è opera di pochi individui geniali i
quali stanno tutti ora sulla breccia, aperta a così gran
fatica nel muro nemico dell'accademismo. E si può dire che
essa è vanto di tre nazioni soltanto, fra le quali ci è caro
poter iscrivere il nome dell'Italia, per la quale purtroppo
è questo forse il solo primato che le competa nell'arringo
dell'arte moderna.
Augusto Rodin, solitario e discusso in Francia, quanto
ammirato all'estero, Constantin Meunier, onorato e seguito
da un nucleo di allievi nel Belgio, sono, fuori d'Italia, i
corifei della riscossa della poesia della vita moderna
contro la gelida compressione scolastica dell'inerte
imitazione dell' antico che ancora isterilisce tanta parte
della plastica moderna.
In questa gloriosa lotta contro il gelido accademismo
l'Italia viene non ultima e non minore: anzi l'evoluzione
della plastica è giunta fra noi ad uno stadio più inoltrato
che presso le altre nazioni. La nuova tendenza, sfiorata dal
Rosa, affermata dal Grandi, trionfa ora nell'opera di una
bella schiera di artisti.
Le esposizioni dell'ultimo decennio e segnatamente quelle di
Venezia hanno reso popolari i nomi di due fra i più insigni
novatori: il Troubetzkoy ed il Bistolfi. Ma di questo
rinnovamento della coltura del pubblico italiano, di questo
suo nuovo e lusinghiero interesse per 1'arte non approfittò
un altro dei modernisti della prima ora. Davide Calandra,
occupato nella poderosa fatica di un grande monumento,
dovette forzatamente disertare gli ultimi convegni
artistici, per quasi dieci anni.
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Ma se per lunghi anni egli dovette con rimpianto e amarezza
assistere al vario svolgersi dell'attività dei colleghi,
senza potersi staccare dall'unica opera che richiedeva tutta
la sua energia creatrice, egli è ora ricompensato del lungo
lavoro solitario, dalla soddisfazione di offrire al pubblico
che visiterà prossimamente Torino in occasione della prima
esposizione internazionale d'arte decorativa moderna,
un'opera completa e grandiosa, integrazione di tutto un
indirizzo d'arte.
La genialità non è un frutto isolato nella famiglia del
Calandra. Un nonno materno fu collezionista appassionato di
quadri e d'antichità. Uomo di raro ingegno fu il padre, il
quale, benché laureato in legge, eccelse tanto negli studi
di idraulica da esser citato come testo negli studi di
ingegneria. Ma le ricerche scientifiche e la creazione dei
pozzi che ancora portano il suo nome, non gli tolsero di
essere un intelligentissimo raccoglitore di antichità e
specialmente di armi antiche, che egli stesso restaurava con
abilità perfetta. Nel Museo Archeologico di Tonno si
conserva una collezione di pregevolissime armi barbariche da
lui esumate nella necropoli di Testona Torinese, dei quali
scavi diede, coll'aiuto nel primogenito Edoardo, pittore,
romanziere e autore drammatico, una dotta relazione. Davide
Calandra portò così nel sangue il senso della poesia
dell'ambiente storico, e questa influenza si riscontra ad
ogni passo nella sua opera: un senso non scolasticamente
pedante, ma pittoresco, colorito, vivo.
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Il Calandra entrò giovinetto nell'Accademia Albertina di
Belle Arti di Torino e vi studiò il disegno col Gamba e la
scoltura sotto il Tabacchi. Bellissimo giovane avvezzo ai
ritrovi mondani, non è da stupire se i suoi primi tentativi
(per tralasciare le Veglie di Penelope suo primo
lavoro) cercassero la loro ragione nella visione della
femminilità elegante. Sono di quel tempo il bustino
Carmen e la Tigre Reale. Ma l'opera che diffuse
il suo nome fra il pubblico fu la testa di monaca esposta
all'esposizione nazionale del 1884 col titolo Fiore di
chiostro. Non nuovo certo il tema, ma la delicatezza con
la quale era trattato il marmo e l'espressione pensosa e
sentimentale crearono a questo busto un successo
grandissimo.
Pareva dunque che egli dovesse rinchiudere la sua arte in un
cerchio di eleganza e di mondanità raffinata. La vita dei
campi lo salvò da quell'indirizzo poco ampio e pericoloso
per un giovane. La bellezza delle forme e delle attitudini
del lavoro rurale lo attrasse verso un'arte più sana e
sincera, incitandolo a rendere la forma nel suo ambiente,
avviluppata dall'aria e battuta dalla luce, a renderla cioè
nella sua apparenza pittoresca, contro l'errore delle scuole
e delle accademie, che non tengono conto di questi
importantissimi rapporti.
Il Calandra fu così uno dei primi iniziatori di quella
plastica pittoresca verso la quale negli stessi anni tendeva
il Bistolfi, e che ad ambedue doveva essere così spesso
rimproverata come un errore di trascendenza estetica.
Appartengono a questo indirizzo Un gallo nel pozzo,
gruppo di due contadini al pozzo; Contadina, che reca
in una carriola la colazione; Il cacciatore di
contrabbando, bracconiere all'agguato presso un palo che
reca la scritta della bandita;
L'Aratro, tratto da una coppia di buoi condotti da un boaro.
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V'è in questi gruppi e statuette di piccole dimensioni una
vivace impressione del vero, un senso pittoresco del
movimento, una sprezzatura di modellatura che tende a
diventare riassuntiva e suggestiva: migliore fra tutti
l'ultimo per la serietà dello studio di animali in
movimento, per l'efficace suggestione d'ambiente ottenuta
con abili artifizi di modellatura; e questo gruppo fu
acquistato per la Galleria d'Arte Moderna. V'è in questa
tendenza dei due scultori piemontesi, che negli stessi anni
obbedivano ad un medesimo impulso, probabilmente un frutto
etnico: è il temperamento subalpino rude e sincero che
attraverso la sopraffazione delle accademie si ritempra
nello studio della natura vergine e questa natura cerca di
rappresentare con umile sincerità e con forza ingenua.
Ma parallelamente a questi studi di realtà campestre
l'innata tendenza alla poesia decorativa del costume storico
produsse altre opere che si avvantaggiano nella loro
estrinsecazione materiale della larghezza e della franchezza
contratta nella sincera osservazione del vero contemporaneo;
e sono la testina di guerriero Gallo, il Dragone di
Piemonte Reale, 1693, poí trasformato nel Dragone del
Re, 1796, che per la solidità del cavallo, per la
pittoresca verità del cavaliere può competere coi migliori
bronzi del Frémiet di ugual tema; il bozzetto di monumento
pel condottiero valdese Arnaud, il
Mamalucco, l'Egiziano antico, il Carlo Alberto, la
Minerva in argento, per premio del Rowing Club.
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Col possesso della forma era andata intanto maturandosi nel
Calandra la concezione ideale, e la statuaria monumentale
doveva porgergli il modo di attuare le proprie tendenze di
realismo pittoresco nella forma, e di prender posto fra i
primi rivoluzionari del monumento onorario. Pel Calandra il
monumento fu, come pel Grandi pel Bistolfi, un'espressione
poetica. E la poesia della leggenda Garibaldina fu la prima
a porgergli il destro di integrare le sue tendenze.
Al primo concorso bandito a Milano nel 1885 il Calandra
concorse con un bozzetto arditamente innovatore. Non era
piccolo merito in quell'epoca, ancor sacra alle fredde
immagini di parata sull'eterno piedestallo d'accademia,
presentare un bozzetto di pittoresche figure di Garibaldini
sopra uno spalto in rovina. Premiato a parità col Barzagli,
col Broggi e col Ferrari, ma non scelto, il Calandra ritornò
al tema, completandolo e svolgendolo in modo più idealmente
decorativo nel bozzetto inviato pel concorso del 1902 a
Napoli, in cui il gruppo del Generale avanzante sereno a
cavallo fra gli accesi gregari, sopra le rovine accatastate,
e sotto la figura volante della Libertà, sembra veramente
avvolto da un fulgore di epopea. Naturalmente questo
bozzetto non fu il prescelto: troppo era lontano nella sua
concezione libera ed irruente dai soliti cavalli da galleria
d'armi sui non meno consueti piedestalli, e il Calandra
dovette in quegli anni sottostare ai verdetti di quelle
famigerate giurie che tanto contribuirono a popolare le
piazze e le vie delle città italiane di tante vituperevoli
offese all'arte statuaria.
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