Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - n° 89 - Maggio 1902)
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Artisti contemporanei : Davide Calandra

 

 
Più fortunato fu nel concorso di Parma del 1889. Ivi fu vincitore sopra una trentina di concorrenti, fors'anche perché il suo bozzetto, forzatamente semplice data la tenuissima somma assegnata, era, nel suo carattere semplicemente realistico, meno ostico ai palati dei giudici ufficiali. Ma costretto in un ambito più umile, il Calandra si rivalse spingendo all'estremo la sua concezione pittoresca della forma. Per questo riguardo i tre bassorilievi che formano fregio quasi ininterrotto attorno al piedestallo sono interessantissimi documenti di questa tendenza spiccatamente italiana o, più esattamente, subalpina, la quale ha cercato e cerca di ampliare la visione plastica, preoccupandosi di suggestionare quel senso del viluppo atmosferico, della luce e del colore che per troppo tempo fu escluso dal campo della statuaria. Sebbene, a dire la verità, qualche accenno di questo indirizzo si possa trovare nei secoli andati, accenno che dovrebbe tranquillare le paure di coloro che lo credono una degenerazione morbosa tutta moderna, e il Calandra si compiace di mostrare ai visitatori della sua casa certe copie di bassorilievi del seicento, in cui lo scultore non ha esitato a figurare un sole cadente e in cui è riuscito a suggestionare la vastità aerea dell'oro del tramonto.

II primo di questi bassorilievi del monumento parmense rappresenta l'assedio di Roma del 49. La scena dei combattenti sulle trincee si fonde per gradi insensibili col profilo della città eterna dominato dalla cupola di San Pietro, dietro la quale il sole tramonta avvolgendo nel suo nimbo le leggere nuvolette vaganti pel cielo. Il secondo di questi quadri raffigura lo sbarco a Marsala, e qui pure dietro la barchetta, dalla quale sorge la figura leonina del Generale, è evocata la visione del porto e della città sicula. Così nel terzo la chiesetta di San Fermo e il paesaggio lombardo chiudono nel suo vero ambiente lo scontro dei Garibaldini colle truppe austriache dell'Urban.

II Calandra era giunto quasi al compimento del monumento di Parma quando fu bandito in Torino pel febbraio del 92 il primo concorso per il monumento al Principe Amedeo. Raramente concorso ebbe esito più felice di questo. Per la prima volta il nuovo concetto del monumento commemorativo, frutto di un'organica fusione fra l'idea e la forma plastica, e non più come prima artificiale giustaposizione di scoltura e di architettura, trattate spesso secondo leggi di età diverse e antitetiche, trionfò agli occhi non solo degli artisti, ma anche della folla. Due bozzetti, l'uno del Calandra, l'altro del Bistolfi, frutti di una stessa tendenza innovatrice, divisero i giudizi del pubblico. Più austero, più solenne, più pensoso quello del Bistolfi; più vivace, cavalleresco ed elegante quello del Calandra. Così difficile divenne le scelta fra due opere egualmente ricche di bellezza, che un secondo concorso fu indetto fra i due, e, come spesso avviene, gli autori, che avevano dato nel primo bozzetto il meglio della loro anima, non dissero nulla di più intenso nel secondo. Anzi, io non so esimermi dal rimpiangere la struttura del bozzetto primitivo, così ingegnosa e serrata.

Sotto la statua equestre del duca d'Aosta rappresentato nei suoi giovani anni al tempo delle sue prove guerresche, il Calandra aveva evocato nella pietra del massiccio zoccolo scendente con struttura piramideggiante a impiantarsi solidamente sul plinto di base, una cavalcata di duchi e di re di Savoia lanciati in corsa focosa. Era un'evocazione fantastica, quasi come una Wilde Jagd della leggenda, animantesi nella pietra dinanzi agli occhi dello spettatore come logica conseguenza della sua meditazione di fronte alla statua del duca erede. Nel secondo bozzetto, che fu quello prescelto dalla Commissione, il Calandra fu tratto invece a sviluppare i motivi della cavalcata, formandone quattro gruppi principali ai quattro angoli, in modo da lasciare libero nei fianchi lo spazio a quelle scene interpretate pittorescamente che hanno per lui così viva attrattiva. Gli altorilievi divennero statue isolate e la concezione da fantastica si trasformò in un senso più storicamente commemorativo.

Sopra una gradinata rotta nel mezzo dei quattro lati da scarpe inclinate, si agita attorno al dado centrale su cui sorge la statua la cavalleresca visione della stirpe sabauda, e, come si è detto, si raccoglie in gruppi nei quattro angoli. Sono nell'uno i fieri principi del ferreo medioevo, i fondatori della stirpe guerriera, chiusi nella corazza e nel morione, lanciati al galoppo, la lancia in resta; è in un altro la gloriosa persona di Emanuele Filiberto che procede sereno seguito dai gonfaloni vittoriosi; è nel terzo la cavalleresca persona di Vittorio Amedeo che saluta agitando il largo cappello; è infine la figura dell'ultimo re di Piemonte e primo re d'Italia. E fra quest'ultimo e i primi progenitori, nel lato anteriore del monumento si drizza un albero araldico, nelle cui chiome sta annidata l'aquila di Savoia, vigile e minacciosa custode dei destini della dinastia, simbolo araldico e insieme poetico della stirpe intera.

Sopra questa vivace apparizione si alza un dado scanellato sugli spigoli, dal quale sorge dietro una risega un secondo, fasciato alla base da un fregio di bronzo formato dai nodi d'amore (emblema araldico della casa di Savoia, vivo ancor oggi nelle monete e nel collare dell'Annunziata) e recante un'iscrizione composta dal Calandra stesso. Ed al disopra si alza la statua del duca, figurato giovinetto, in atto di frenare il cavallo che arditamente si impenna sulle gambe posteriori. E' questa l'opera varia, animata e grandiosa che il Calandra sta per scoprire al pubblico dopo dieci anni di lavoro accanito, dopo mille ostacoli vinti con silenziosa tenacia. Se più volte l'uomo forte e paziente piegò sotto la tremenda fatica, se il pensiero del monumento fu per anni ed anni per la sua mente un'ossessione che ne agitava i sonni e ne popolava i sogni, il Calandra ha ora la profonda gioia di legare, giovane ancora, il suo nome ad una delle opere più grandiose della statuaria monumentale italiana e ad una di quelle che più coraggiosamente ne affermano i nuovi ideali. Situato in un sito meraviglioso, nel mezzo dell'ombroso parco del Valentino, di fronte alla verde maestà serena della collina torinese, bellissima fra le colline italiane, esso sorgerà dinanzi ai conterranei ed agli stranieri a testimonianza del rinnovamento della concezione monumentale dovuto alla sincerità ed alla forza di queste genti subalpine per tanto tempo credute inette all'arte ed alla poesia.

In questa sua massima opera il Calandra ha fuso le due tendenze cardinali del suo temperamento: il senso pittoresco della forma e la poesia cavalleresca delle età storiche. L'impressionista dei bozzetti rurali si è compiaciuto nel creare nel fianco del basamento larghi orizzonti alle sue scene plastiche, e il collezionista dotto ha potuto curare amorosamente il carattere storico dei personaggi evocati. Ma sopratutto il pubblico sarà conquistato dalla vitalità serena e dall'eleganza decorativa con cui l'opera è concepita, logico riflesso della tempra serena, cavalleresca ed elegante dell'artista, caro e bellissimo uomo.

L'interesse per questa grande opera non deve farne dimenticare molte altre minori. Tali i monumenti ai Fratelli Fenatrice in Costigliole d'Asti, al maggiore Varino in S. Stefano Balbo, al canonico Cottolengo in Torino, al generale Arimondi pure in Torino; i monumenti sepolcrali Secchi Bendazzi, Savio, la cappella funebre pei D'Angrogna, la graziosa lapide pel bimillenio di Ivrea. Ma fra tutti mi piace accennare al busto di Massimo d'Azeglio destinato al paesello donde la famiglia ebbe il nome; una delle cose più forti, più belle e significative del Calandra; acuto di espressione, largo di fattura, ricco di vita.

Recentemente il Calandra concorse per la quadriga in stile classico destinata al Palazzo di Giustizia in Roma. Fu premiato in due successivi concorsi, e certo la sua quadriga era la migliore delle presentate, ma giustamente stanco della commedia di un sempre nuovo concorso, lasciò libero il campo al vincitore predestinato e indispensabile. Come vero artista moderno, il Calandra fu dei primi a prestare interesse al rinnovamento delle arti decorative, e ne diede prova nella graziosa palazzina che edificò per se stesso presso il giardino del Valentino. Costruita da una dozzina d'anni, essa è pur sempre la migliore comparsa in Torino fra quelle ispirate alle nuove tendenze. E per essa modellò elegantissimi e modernissimi capitelli, e disegnò le sagome dei legni, gli arpioni e le bandelle degli usci, le fasce decorative delle lesene.

Artista modesto, sincero e valoroso, uomo franco e gentile, il Calandra è universalmente beneviso: ciò spiega come da molti anni sia stato eletto dagli artisti a rappresentarli nella Giunta Superiore di Belle Arti. E se cose buone essa operò, si può star certi che il Calandra ne fu l'ispiratore principale, apostolo tenace della libertà e della modernità nell'arte e nell'insegnamento. Se l'Italia lo annovera fra i suoi più valorosi scultori, il Piemonte si compiace di vantare in lui una delle sue più simpatiche figure di uomo e di artista.

Enrico Thovez                   

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