Più fortunato fu nel concorso di Parma del 1889. Ivi fu
vincitore sopra una trentina di concorrenti, fors'anche
perché il suo bozzetto, forzatamente semplice data la
tenuissima somma assegnata, era, nel suo carattere
semplicemente realistico, meno ostico ai palati dei giudici
ufficiali. Ma costretto in un ambito più umile, il Calandra
si rivalse spingendo all'estremo la sua concezione
pittoresca della forma. Per questo riguardo i tre
bassorilievi che formano fregio quasi ininterrotto attorno
al piedestallo sono interessantissimi documenti di questa
tendenza spiccatamente italiana o, più esattamente,
subalpina, la quale ha cercato e cerca di ampliare la
visione plastica, preoccupandosi di suggestionare quel senso
del viluppo atmosferico, della luce e del colore che per
troppo tempo fu escluso dal campo della statuaria. Sebbene,
a dire la verità, qualche accenno di questo indirizzo si
possa trovare nei secoli andati, accenno che dovrebbe
tranquillare le paure di coloro che lo credono una
degenerazione morbosa tutta moderna, e il Calandra si
compiace di mostrare ai visitatori della sua casa certe
copie di bassorilievi del seicento, in cui lo scultore non
ha esitato a figurare un sole cadente e in cui è riuscito a
suggestionare la vastità aerea dell'oro del tramonto.
|
II primo di questi bassorilievi del monumento parmense
rappresenta l'assedio di Roma del 49. La scena dei
combattenti sulle trincee si fonde per gradi insensibili col
profilo della città eterna dominato dalla cupola di San
Pietro, dietro la quale il sole tramonta avvolgendo nel suo
nimbo le leggere nuvolette vaganti pel cielo. Il secondo di
questi quadri raffigura lo sbarco a Marsala, e qui pure
dietro la barchetta, dalla quale sorge la figura leonina del
Generale, è evocata la visione del porto e della città
sicula. Così nel terzo la chiesetta di San Fermo e il
paesaggio lombardo chiudono nel suo vero ambiente lo scontro
dei Garibaldini colle truppe austriache dell'Urban.
II Calandra era giunto quasi al compimento del monumento di
Parma quando fu bandito in Torino pel febbraio del 92 il
primo concorso per il monumento al Principe Amedeo.
Raramente concorso ebbe esito più felice di questo. Per la
prima volta il nuovo concetto del monumento commemorativo,
frutto di un'organica fusione fra l'idea e la forma
plastica, e non più come prima artificiale giustaposizione
di scoltura e di architettura, trattate spesso secondo leggi
di età diverse e antitetiche, trionfò agli occhi non solo
degli artisti, ma anche della folla. Due bozzetti, l'uno del
Calandra, l'altro del Bistolfi, frutti di una stessa
tendenza innovatrice, divisero i giudizi del pubblico. Più
austero, più solenne, più pensoso quello del Bistolfi; più
vivace, cavalleresco ed elegante quello del Calandra. Così
difficile divenne le scelta fra due opere egualmente ricche
di bellezza, che un secondo concorso fu indetto fra i due,
e, come spesso avviene, gli autori, che avevano dato nel
primo bozzetto il meglio della loro anima, non dissero nulla
di più intenso nel secondo. Anzi, io non so esimermi dal
rimpiangere la struttura del bozzetto primitivo, così
ingegnosa e serrata.
|
Sotto la statua equestre del duca d'Aosta rappresentato nei
suoi giovani anni al tempo delle sue prove guerresche, il
Calandra aveva evocato nella pietra del massiccio zoccolo
scendente con struttura piramideggiante a impiantarsi
solidamente sul plinto di base, una cavalcata di duchi e di
re di Savoia lanciati in corsa focosa. Era un'evocazione
fantastica, quasi come una Wilde Jagd della leggenda,
animantesi nella pietra dinanzi agli occhi dello spettatore
come logica conseguenza della sua meditazione di fronte alla
statua del duca erede. Nel secondo bozzetto, che fu quello
prescelto dalla Commissione, il Calandra fu tratto invece a
sviluppare i motivi della cavalcata, formandone quattro
gruppi principali ai quattro angoli, in modo da lasciare
libero nei fianchi lo spazio a quelle scene interpretate
pittorescamente che hanno per lui così viva attrattiva. Gli
altorilievi divennero statue isolate e la concezione da
fantastica si trasformò in un senso più storicamente
commemorativo.
Sopra una gradinata rotta nel mezzo dei quattro lati da
scarpe inclinate, si agita attorno al dado centrale su cui
sorge la statua la cavalleresca visione della stirpe
sabauda, e, come si è detto, si raccoglie in gruppi nei
quattro angoli. Sono nell'uno i fieri principi del ferreo
medioevo, i fondatori della stirpe guerriera, chiusi nella
corazza e nel morione, lanciati al galoppo, la lancia in
resta; è in un altro la gloriosa persona di Emanuele
Filiberto che procede sereno seguito dai gonfaloni
vittoriosi; è nel terzo la cavalleresca persona di Vittorio
Amedeo che saluta agitando il largo cappello; è infine la
figura dell'ultimo re di Piemonte e primo re d'Italia. E fra
quest'ultimo e i primi progenitori, nel lato anteriore del
monumento si drizza un albero araldico, nelle cui chiome sta
annidata l'aquila di Savoia, vigile e minacciosa custode dei
destini della dinastia, simbolo araldico e insieme poetico
della stirpe intera.
|
Sopra questa vivace apparizione si alza un dado scanellato
sugli spigoli, dal quale sorge dietro una risega un secondo,
fasciato alla base da un fregio di bronzo formato dai
nodi d'amore (emblema araldico della casa di Savoia,
vivo ancor oggi nelle monete e nel collare dell'Annunziata)
e recante un'iscrizione composta dal Calandra stesso. Ed al
disopra si alza la statua del duca, figurato giovinetto, in
atto di frenare il cavallo che arditamente si impenna sulle
gambe posteriori. E' questa l'opera varia, animata e
grandiosa che il Calandra sta per scoprire al pubblico dopo
dieci anni di lavoro accanito, dopo mille ostacoli vinti con
silenziosa tenacia. Se più volte l'uomo forte e paziente
piegò sotto la tremenda fatica, se il pensiero del monumento
fu per anni ed anni per la sua mente un'ossessione che ne
agitava i sonni e ne popolava i sogni, il Calandra ha ora la
profonda gioia di legare, giovane ancora, il suo nome ad una
delle opere più grandiose della statuaria monumentale
italiana e ad una di quelle che più coraggiosamente ne
affermano i nuovi ideali. Situato in un sito meraviglioso,
nel mezzo dell'ombroso parco del Valentino, di fronte alla
verde maestà serena della collina torinese, bellissima fra
le colline italiane, esso sorgerà dinanzi ai conterranei ed
agli stranieri a testimonianza del rinnovamento della
concezione monumentale dovuto alla sincerità ed alla forza
di queste genti subalpine per tanto tempo credute inette
all'arte ed alla poesia.
|
In questa sua massima opera il Calandra ha fuso le due
tendenze cardinali del suo temperamento: il senso pittoresco
della forma e la poesia cavalleresca delle età storiche.
L'impressionista dei bozzetti rurali si è compiaciuto nel
creare nel fianco del basamento larghi orizzonti alle sue
scene plastiche, e il collezionista dotto ha potuto curare
amorosamente il carattere storico dei personaggi evocati. Ma
sopratutto il pubblico sarà conquistato dalla vitalità
serena e dall'eleganza decorativa con cui l'opera è
concepita, logico riflesso della tempra serena, cavalleresca
ed elegante dell'artista, caro e bellissimo uomo.
L'interesse per questa grande opera non deve farne dimenticare molte
altre minori. Tali i monumenti ai Fratelli Fenatrice in
Costigliole d'Asti, al maggiore Varino in S. Stefano Balbo,
al canonico Cottolengo in Torino, al generale Arimondi pure
in Torino; i monumenti sepolcrali Secchi Bendazzi, Savio, la
cappella funebre pei D'Angrogna, la graziosa lapide pel
bimillenio di Ivrea. Ma fra tutti mi piace accennare al
busto di Massimo d'Azeglio destinato al paesello donde la
famiglia ebbe il nome; una delle cose più forti, più belle e
significative del Calandra; acuto di espressione, largo di
fattura, ricco di vita.
|
Recentemente il Calandra concorse per la quadriga in stile
classico destinata al Palazzo di Giustizia in Roma. Fu
premiato in due successivi concorsi, e certo la sua quadriga
era la migliore delle presentate, ma giustamente stanco
della commedia di un sempre nuovo concorso, lasciò libero il
campo al vincitore predestinato e indispensabile. Come vero
artista moderno, il Calandra fu dei primi a prestare
interesse al rinnovamento delle arti decorative, e ne diede
prova nella graziosa palazzina che edificò per se stesso
presso il giardino del Valentino. Costruita da una dozzina
d'anni, essa è pur sempre la migliore comparsa in Torino fra
quelle ispirate alle nuove tendenze. E per essa modellò
elegantissimi e modernissimi capitelli, e disegnò le sagome
dei legni, gli arpioni e le bandelle degli usci, le fasce
decorative delle lesene.
Artista modesto, sincero e valoroso, uomo franco e gentile,
il Calandra è universalmente beneviso: ciò spiega come da
molti anni sia stato eletto dagli artisti a rappresentarli
nella Giunta Superiore di Belle Arti. E se cose buone essa
operò, si può star certi che il Calandra ne fu l'ispiratore
principale, apostolo tenace della libertà e della modernità
nell'arte e nell'insegnamento. Se l'Italia lo annovera fra i
suoi più valorosi scultori, il Piemonte si compiace di
vantare in lui una delle sue più simpatiche figure di uomo e
di artista.
|
Enrico Thovez
|
Ritorno - Pagina 1/2
|
|
|