Pillole d'Arte

    
Autori   |   Opere   |   Documenti   |   Bibliografia   |   Contatti   |   Esci

 
(Fonte : Emporium - n° 250 - Ottobre 1915)
 

In memoriam - Davide Calandra (*)

 

In Torino il giorno 8 di settembre cessava quasi improvvisamente di vivere per sincope cardiaca Davide Calandra, lo scultore certo più illustre del rinomato gruppo torinese, artista di supremo buon gusto e uomo integro, pieno di nobiltà e di dirittura nella vita. Anche nella figura bionda, pallida e magra, elegante, marziale, quasi cavalleresca, portava come un riflesso del suo stile in arte.

Era nato nel 1856 da agiata famiglia piemontese in cui l'amore per gli studi e la curiosità per ogni arte formavano, si può dire, una tradizione. Dopo d'aver seguito la scuola classica fino all'Università, divertendosi per altro nelle ore d'ozio a maneggiare la creta e la stecca nello studio del padre d'un suo compagno di liceo — lo scultore Dario Dini -, fu alla fine decisamente e del tutto guadagnato all'arte in seguito ad alcuni mesi di prove presso Alfonso Balzico, il vecchio scultore che aveva abbellito le piazze della capitale subalpina con il suo monumento a Massimo d'Azeglio e con quell'altro audacissimo al Duca Ferdinando di Genova.

Incoraggiato dall'approvazione di tanto maestro che sentenziava non avere il giovane certamente sbagliato strada col preferire lo scalpello ai classici, Davide Calandra passò tosto all'Accademia Albertina sotto il lombardo Odoardo Tabacchi, dal quale mosse tutta una giovane schiera d'artisti che ancor non ha finito di far onore a Torino e all'Italia. Erano i tempi in cui ferveva in Italia la lotta contro il gelido accademismo, nella quale andava maturandosi l'evoluzione della plastica. Il Calandra, pur non sapendosi liberare subito dalle tendenze di moda, trovò note innovatrici; seppe soprattutto guardare e fare a modo suo, modellando nel medesimo tempo, all'aria aperta, dal vero uomini e bestie (L'aratro, Il cacciatore di frodo, Il contadino), mentre insieme indulgeva alla corrente che trionfava con qualche busto elegante, con qualche figurina un po' leziosa, più aggraziata che appassionata.

Ma presto doveva trovare sè stesso, doveva mettersi francamente per quella strada dove avrebbe potuto produrre opere durevoli. Le prime statue equestri (Mamalucco, Il Dragone di Piemonte Reale, Il Dragone del Re), sebbene piccole ancora, erano composizioni sicure, vigorose, che riassumevano in una bella linea cavallo e cavaliere, reso il primo nella sua perfetta struttura anatomica, il secondo nel suo speciale carattere. Dopo questo felice preludio, ebbe una sosta nella corsa verso la vetta della gloria. A Milano e a Napoli nel 1885 e nel 1892 egli rimaneva soccombente nel concorso pel monumento a Garibaldi, ma il monumento al Principe Amedeo in Torino bastò a far conoscere il suo vigoroso temperamento artistico, che poi più non ebbe a smentirsi nelle opere successive che segnano come un ascensione progressiva e continua verso la perfezione e verso la fama. Questa nel suo pensiero doveva essere in modo particolarissimo suggellata dalle due opere cui egli aveva lavorato d'attorno fino si può dire agli ultimi giorni di vita con passione e con ardore, quasi temesse di non poterle ultimare, il monumento ad Umberto I per Villa Borghese, e il bassorilievo della nuova aula del Parlamento.

Artista di grande valore e di rara serietà tanto nella vita quanto nell'arte, lavoratore assiduo e tenace, amato, oltre che per il suo ingegno, per le sue qualità di gentiluomo affabilissimo e compito, Davide Calandra ha lasciato in tutti un profondo e largo rimpianto.


(') Su Davide Calandra vedi il bell'articolo di Enrico Thovez in Emporiom, Maggio 1902, pp. 325-344.