In Torino il giorno 8 di settembre cessava quasi
improvvisamente di vivere per sincope cardiaca Davide
Calandra, lo scultore certo più illustre del rinomato gruppo
torinese, artista di supremo buon gusto e uomo integro,
pieno di nobiltà e di dirittura nella vita. Anche nella
figura bionda, pallida e magra, elegante, marziale, quasi
cavalleresca, portava come un riflesso del suo stile in
arte.
Era nato nel 1856 da agiata famiglia piemontese in cui
l'amore per gli studi e la curiosità per ogni arte
formavano, si può dire, una tradizione. Dopo d'aver seguito
la scuola classica fino all'Università, divertendosi per
altro nelle ore d'ozio a maneggiare la creta e la stecca
nello studio del padre d'un suo compagno di liceo — lo
scultore Dario Dini -, fu alla fine decisamente e del tutto
guadagnato all'arte in seguito ad alcuni mesi di prove
presso Alfonso Balzico, il vecchio scultore che aveva
abbellito le piazze della capitale subalpina con il suo
monumento a Massimo d'Azeglio e con quell'altro audacissimo
al Duca Ferdinando di Genova.
Incoraggiato dall'approvazione di tanto maestro che
sentenziava non avere il giovane certamente sbagliato strada
col preferire lo scalpello ai classici, Davide Calandra
passò tosto all'Accademia Albertina sotto il lombardo
Odoardo Tabacchi, dal quale mosse tutta una giovane schiera
d'artisti che ancor non ha finito di far onore a Torino e
all'Italia. Erano i tempi in cui ferveva in Italia la lotta
contro il gelido accademismo, nella quale andava maturandosi
l'evoluzione della plastica. Il Calandra, pur non sapendosi
liberare subito dalle tendenze di moda, trovò note
innovatrici; seppe soprattutto guardare e fare a modo suo,
modellando nel medesimo tempo, all'aria aperta, dal vero
uomini e bestie (L'aratro, Il cacciatore di frodo, Il
contadino), mentre insieme indulgeva alla corrente che
trionfava con qualche busto elegante, con qualche figurina
un po' leziosa, più aggraziata che appassionata.
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Ma presto doveva trovare sè stesso, doveva mettersi francamente per quella
strada dove avrebbe potuto produrre opere durevoli. Le prime statue equestri (Mamalucco,
Il Dragone di Piemonte Reale, Il Dragone del Re), sebbene piccole ancora,
erano composizioni sicure, vigorose, che riassumevano in una bella linea cavallo
e cavaliere, reso il primo nella sua perfetta struttura anatomica, il secondo
nel suo speciale carattere. Dopo questo felice preludio, ebbe una sosta nella
corsa verso la vetta della gloria. A Milano e a Napoli nel 1885 e nel 1892 egli
rimaneva soccombente nel concorso pel monumento a Garibaldi, ma il monumento al
Principe Amedeo in Torino bastò a far conoscere il suo vigoroso temperamento
artistico, che poi più non ebbe a smentirsi nelle opere successive che segnano
come un ascensione progressiva e continua verso la perfezione e verso la fama.
Questa nel suo pensiero doveva essere in modo particolarissimo suggellata dalle
due opere cui egli aveva lavorato d'attorno fino si può dire agli ultimi giorni
di vita con passione e con ardore, quasi temesse di non poterle ultimare, il
monumento ad Umberto I per Villa Borghese, e il bassorilievo della nuova aula
del Parlamento.
Artista di grande valore e di rara serietà tanto nella vita quanto nell'arte,
lavoratore assiduo e tenace, amato, oltre che per il suo ingegno, per le sue
qualità di gentiluomo affabilissimo e compito, Davide Calandra ha lasciato in
tutti un profondo e largo rimpianto.
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(') Su Davide Calandra vedi il
bell'articolo di Enrico Thovez in
Emporiom, Maggio 1902, pp. 325-344.
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