Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - Febbraio 1902)

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MARIO DE MARIA

 
"Così, presso a poco Mario De Maria e trascinato a creare le sue opere d'arte. Egli cerca dunque l'espressione di quel che ha sentito dinanzi al vero, egli vuole che la sorda materia risponda a questa chiamata dello spirito. Ed in lui, come in Rembrandt, mezzo potente d'espressione è il chiaroscuro. Qui sta certamente gran parte del suo segreto d'artista.... Questo potente mezzo del chiaroscuro rende possibile al De Maria l'espressione delle più lievi sfumature del sentimento; e mette la sua pittura quasi a livello della musica. Accanto ai toni chiari, varii ed armoniosi che la misteriosa riflessione lunare mette né suoi quadri con tanta potenza d'incanti, si allungano le grandi ombre Rembrandtiane, leggermente sfregate di bitume, le grandi ombre trasparenti, segnate con linea bizzarra, ma con sapienza profonda ".

Ne certatnente io credo che si potesse e si possa meglio esprimere il valore creativo delle sue fantasie lunatiche: onde la compiacenza di citarne ancora un periodo:
" La sua luna non è la solita luna impagliata, madreperlacea: la sua luna è quella che sveglia le dormenti fantasie, che trasforma il muro vecchio e corroso : è la luna trionfatrice la sera, stanca al levarsi dell'alba su le colline; e la luna fantastica, profondamente malinconica, come l'anima sua ".
Per evocare la luna in tutta la potenza della fredda luce e della complessa e indefinibile attrazione che esercita così sui nostri nervi come sul nostro cuore, l'artista non si e contentato delle solite rievocazioni di studio. Egli lungamente ha vagato sotto la luna, con la matita e il suo albo. Da una tale ricerca originate di fissare le sagome estreme dei paesaggi, quali veramente d si presentano nelle diverse fasi, egli ha potuto desumere quella nota giusta nella distribuzione delle masse chiare ed oscure. E una collezione di disegni forti sfumati, che egli conserva con gelosa cura, è sempre li ad attestare la preparazione sapiente e cosciente del pittore. A tal proposito, egli anzi mi ha narrato, che dimorando nel Trentino e continuando per parecchie sere nelle sue vagabonde escursioni, aveva stranamente impressionato gli abitanti di un villaggio. E perfino la polizia ne ebbe sentore, cosi che fu costretto a dare le più ampie giustificazioni delle sue passeggiate e del suo lavoro.

Ma per ritornare al mirabile e sintetico articolo del Conti, se io posso convenire che il nostro si ricongiunga al Rembrandt per la efficacia della espressione pittorica; non posso ritenere come definitivo il giudizio che il De Maria si riunisca pel sentimento ai romantici, di cui e l'ultimo rappresentante. Il difetto del giudizio e forse unicamente nell'anno, a cui l'articolo si riferisce. Come ho già detto, fra il 1886 e il 1887 il De Maria conquista pubblico e critici, non solo italiani ma tedeschi ed inglesi, che non gli furono avari degli elogi più alti e meritati. E il trionfo della sua arte, nonostante che egli presentasse notevoli quadri di sole, fu specialmente per la originalità assoluta delle sue fantasie lunari. Ma dal 1887 ad oggi il De Maria ha dipinto non meno di altri cento quadri, e fra questi alcuni essenzialmente glorificatori delle sanguigne vampe de' pia accesi tramonti, come il Tramonto romantico ora alla Galleria moderna di Venezia, e gl'intensi Cipressi di Villa Massimo (dove dal mistero verde il centauro cacciatore par che balzi naturalmente) e il Tramonto a Napoli. II bozzetto di questo paese e di una consistenza veramente preziosa in ogni sua minima parte; ma non meno potente e la gran tela che egli ne ha dedotta e che conserva ancora nel suo studio. II motivo del quadro e scevro di ogni effetto panoramico: a pena il ciuffo del Vesuvio si scorge in fondo fra alcune cime accennanti davanti la larga massa de' rustici casolari con Ia nota centrale e sostenitrice di una porta sanguigna e sgretolata.

E' vero : i romantici hanno sbrodolato tiritere e languori anche su' tramonti; ma basta un solo sguardo sereno a' suddetti quadri (purtacendo di altri, dispersi un po' per tutta Europa) per comprendere che il pittore trasfonde nelle sue tele la luce più intensa dei tramonti, con l'ardore di un innamorato impetuoso e ben altrimenti sentimentale. Si potrebbe dire che egli e tanto classico in questi inni al sole quanto e sanamente romantico nelle animazioni lunari. Ne io saprei onestamente ripetere che un tal dissidio o contrasto di tendenze sia a scapito dell'uno o dell'altro genere: una so!a potenza domina e concilia il dissidio e questa potenza preziosa e la fantasia del maestro, resa eloquente al massimo grado dalla sincerità ed intensità del colore.

Nella quale sincera intensità del colore egli e veramente latino e pagano. Le derivazioni boeckliniane che ci vogliono vedere (e Vittorio Pica I' ha ben dimostrato) sono mere esercitazioni di spiriti vaghi di associazioni ad ogni costo. La potenza del colore e cosi organicamente espressa e concretata in ogni parte del quadro, che non può essere se non la espressione esatta della visione interna dell'artista. E l'equilibrio fra l'idea e l'espressione è uno dei più sicuri caratteri del genio Latino. Tale equilibrio e una risultanza ingenua delle sue facoltà pittoriche, ed e cosi evidente anche nelle tele più strane, dove più si e compiaciuto di motivi macabri, che noi non troviamo mai questi di proporzioni dominanti nel campo del quadro. Forse bisogna solo eccettuarne quel terribile quadro realistico, ispiratogli dalle rovine romane a Terracina (città in cui egli ha pur decorato squisitamente le pareti di un caffè), dove vediamo i majali in tutta la grossolana loro laidezza grufolare olimpici presso i fiori dei capitelli. Ma questa composizione e essenzialmente satirica: e forse dallo scopo satirico ha ragione I'evidenza eccessiva di quei corpi obesi.

Come ho già ricordato il Balzac, cosi ora debbo citare il Poe, il Beaudelaire e l'Hoffmann, dalle cui letture questo elemento fantastico si e straordinariamente rinfocolato ed animato nello spirito del De Maria. glie ne e anzi derivato come un abito e una felice disposizione a continuarne originariamente le orme. Di qui i quattro quadri gustosissimi su i Fraticelli dalle occhiaie vuote, su l'incontro della luna e della terra e infine su gli Abitanti di Marte e di Mercurio. Egli, insomma, ha voluto dimostrare che un pittore può inventare un quadro, come il poeta e lo scrittore inventano e svolgono una lor favola. Del resto, egli stava in salda compagnia con Orazio ammonitore: Pictoribus atcue poetis quidlibet audendi, semper fuit aequa potestas.
Ed eccolo ad escogitare una leggenda di acuto misticismo: i frati che si cavan gli occhi per non essere menomamente distratti dalle apparenze mondane, per godere intimamente e integralmente la visione di Dio nella purezza dell'anima. E col magistero di una tecnica intensa e dei colori più sinistri che potessero accogliere e rendere i brividi della mefite e del disfacimento, egli ci presenta una mezza figura di frate, con le orbite cave: ma il suo cranio, benché vivo, ha già le stimmate del teschio, come le hanno quelli dei suoi compagni che scendono ghignando dalla cappella Illuminata verso il cimitero fosco di ombre e di verdi, da cui un altro frate sbuca barcollando, investito da' barbagli del crepuscolo. A questo quadro si riferisce anche Il Prete nero di Subiaco che ha risuscitato un cane e si avanza, seguito dallo scheletro della bestia, a ricercare il luogo di un assassinio.

Nell'incontro del nostro pianeta con la luna, si vede la gran falce del satellite dominante nel cielo fosco indistinto: la superficie del globo terracqueo è sconvolta : precipitano fiotti di acque e grovigli di cavalli e di uomini, a rifascio, paurosamente. La iridescenza dei colori fu il punto di partenza a dipingere due ipotetici paesaggi di Marte e di Mercurio. Le due tele sono ora nella Scandinavia e non m'è  riuscito vederne ne pure una qualsiasi riproduzione. Debbo perciò accontentarmi di indicazioni generiche. Per Marte da' più vividi e freschi riflessi dei cristalli colorati, per Mercurio dagli sbalzi pia vaghi e commisti di effetti diversi della luce sui metalli tersi, il pittore ha desunto combinazioni complesse e armonie strane, dove i presunti abitatori, espressi nelle forme di uomini-uccelli, si aggirano incantati.
Ma dalle visioni della morte o dei mondi ultra-aerei e bene tornare allo spettacolo squallido della nostra miseria. Un ampio quadro, tuttavia incompiuto, ci raffigura l'interno di un Monte di pietà. Povere donne seggono davanti, meschinamente ravvolte ne' loro scialli, tristemente aspettando la loro volta per offrire gli ultimi stracci all'impiegato - forse di loro non meno misero - che scrive e scrive al lume delle lampade, mentre gli altri poveretti già si allontanano per la scala esterna : il giro continuo della povertà vi si illumina con una osservazione profonda della realtà. E questo forse il solo gran quadro dove le figure sieno trattate con molta larghezza e nelle condizioni attuali della loro solida preparazione a tempera permettono di osservare la sicura industria del De Maria nella preparazione delle tinte, nella loro applicazione su la tela, a cui pare sieno, più che saldate, immedesimate, finché non scenderanno anche su quelle masse ora dissonanti le mirabili velature degli olii che vi aggiungeranno l'armonia della vita e del mistero.


L'attività del De Maria non e solo limitata, come comunemente si conosce, dalla evocazione dei sinistri fantasmi lunari e dal roggio fiammar del sole sugli alberi e sulle mura sgretolate. Marius Pictor ha dipinto anche ventagli ed acquarelli con visioni più serene di pace e di luce. Un acquarello del 1884 ci rappresenta Una giornata di scirocco a Sestri Levante. Una chiesetta corona una scala stretta fra due siepi. E !'aria afosa par che opprima le piante e il povero prete che sale. Di una intonazione più luminosa e un Crepuscolo in piazza S. Marco (egualmente esposto a Roma nel 1889). Nell'ombra che già occupa i portici delle Procuratie si accendono le prime botteghe, ma un vivo riflesso di tramonto anima gli angeli e le cupole della basilica veneziana.

 Fra i ventagli, non si può tacere quello che ora e conservato a Roma gelosamente dal chiaro prof. Adamo. E' dipinto ad olio su raso, ed appartiene al genere de' ventagli non destinati ad aleggiare sugli sbadigli di una bella bocca, ma da ammirarsi in cornice nel mistero di un salotto. II pittore ne e entusiasta, anzi lo proclama il suo capolavoro. Io sinceramente non l'ho potuto vedere nelle migliori condizioni di luce, ma ne sono rimasto intimamente commosso per la suggestione profonda e sottile. Vi e tutto il raccoglimento e il mistero del crepuscolo ne' desolati orizzonti dell'agro romano. Una donna prega innanzi a un tabernacoletto e la luce della lampada è più dolente a contrasto degli ultimi guizzi del tramonto; guizzi sinistri che pare affrettino a destra il povero gregge all'ovile.
Ora io dovrei anche dirvi di Marius Pictor (come anche si piace firmare per evitare strane confusioni avvenute all'estero in ispecie) quale disegnatore e architetto. Ma non posso superare di più i limiti di un articolo. Del resto I'evoluzione della sua arte
non si è ancora compiuta; e basterebbero a persuadercene le larghe serie di studii, di profonda e sempre varia intonazione, che egli riporta annualmente dalla dimora estiva ne' dintorni di Brema. Qualche saggio ne abbiamo già ammirato nell'ultima Mostra veneziana; ma altre e maggiori sorprese I'infaticabile artista ci prepara, dalle quali anche i più restii e i più ciechi saranno persuasi e convinti che la potenza e la originalità del De Maria sono decoro altissimo della moderna arte nazionale e solido affidamento che i suoi paesi non temeranno le ingiurie del tempo o i capricci della moda.


Romualdo Pantini                  


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