Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - n° 196 - Aprile 1911)

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Artisti contemporanei - Francesco Gioli

Quando a Francesco Gioli si vuol fare omaggio gli si ripete graziosamente che, a traverso gl'influssi dell'estetismo nordico onde s'adombra e s'annebbia la pittura moderna, egli si è mantenuto italiano e segnatamente toscano: e perchè nell'omaggio potrebbe essere una recondita significazione di stasi nel processo evolutivo che è continuo in ogni coscienza d'artista, gli si attenua il giudizio benevolo asserendogli che si "rinnova". Così si dicono, o si crede di dire, parecchie cose, che, pur essendo innocue, hanno il torto di venir ripetute per molti pittori : sicché son prive d'ogni spontaneità e sembrano piuttosto esercitazioni verbali che motivi di critica.

Io non so quanto il Gioli sia toscano e perchè lo sia; né mi persuade la classificazione regionale quando la debbano giustificare solamente o una maniera o la rappresentazione locale di certi aspetti della natura, ché anzi questa divisione dipartimentale dell'arte nostra mi pare una ingiuria agli spiriti e alle forme dei pittori d'Italia: così essenzialmente personali e negli atteggiamenti e nelle intenzioni e, infine, nei risultati della loro analisi.

E più ancora mi par fuori di luogo il nazionalismo con i suoi frazionamenti comunisti, quando ci si trova di fronte ad un artista che, durante la sua vita di lavoro, di esperienza, di osservazione e di elaborazione psichica, ha saputo accogliere in sè come un coro fastoso tutte le voci della vita universa e le ha riprodotte poi in molteplici aspetti, ma con consapevolezza sempre maggiore e con dignità sempre più nobile.

Il Gioli è nato a Settimo di Cascina in provincia di Pisa, e perciò è toscano; ha cominciato a dipingere a Firenze, quando il Ciseri e il Pollastrini drappeggiavano in pieghe eleganti i loro quadri più di colore che di intendimento storico, e perciò è fiorentino; ma quando si è sottratto per impulso di cuore e per bisogno di arte alle restrizioni della vecchia accademia e ha dato ascolto alle sinfonie belle ed armoniche della natura; quando ha lasciato il gaio ciarpame della seta e delle trine per gli aspetti nuovi e profondi della vita, se pur dalla Toscana e da Firenze ha sorprese bellezze calde e suadenti di campagne solatie, di pampani freschi, di marine inquiete, di reconditi misteri d'acqua e di verde; egli è stato pittore né di questo né di quel paese; pittore schietto e sincero, al quale la bellezza si è svelata d'ora in ora con tutte le sue malie, con tutte le sue baldanze.

Né mai egli si è rinnovato, perchè non ne poteva sentire il bisogno; meglio si direbbe: si è purificato, se si dovesse dare a questa parola il concetto ampio di quella perfettibilità che è febbre costante degli artisti veri. Purificato, perchè si è messo a contatto delle grandezze anguste, delle infinità paniche, delle chiarità celesti e ha voluto intenderne ogni giorno di più i misteri, svelandoseli indefessamente e penetrandoli con voluttà di discepolo.

Perciò la natura gli è stata benigna e ha dato alla sua arte le facoltà sobrie e sincere, che d'ogni quadro di lui fanno un gioiello di bellezza e di grazia. Né invano ho detto bellezza e grazia, perchè sono queste le principali visioni della pittura gioliana, queste le manifestazioni più evidenti dell'arte sana e profonda ond'egli vive signorilmente. Per lui la vita è bella e gioconda, e non vi ha giornata della sua anima che non si rinfreschi e non si ringiovanisca in questo accordo canoro della luce e delle sue gioie: e quando il dolore s'attarda nella sua casa e spande accidioso e maligno lagrime vere e strazianti, l'artista vi scorge un nuovo aspetto della sua complessa esistenza e trova che anche il dolore sa avviare alle trepide soddisfazioni di sentirsi forti e preparati ai suoi assalti. Ed egli lo aspetta calmo, quasi sereno, accompagnato dalla bontà e dalla tranquillità laboriosa del suo passato vigile.

Or se tale è l'uomo, aristocraticamente adatto a intendere tutte le finezze della natura e dei suoi motivi più reconditi, la sua arte dovrà necessariamente esserne l'eco sicura e chiara: perchè non è possibile immaginare la bontà senza sentirla sopratutto nelle supreme ispirazioni dell'arte.

Francesco Gioli ha lavorato Molto; le sue opere gli han dato fama e agiatezza, la sua ininterrotta voluttà di produrre gli ha procurato soddisfazioni di primati incontestabili, sicché il suo nome non ha bisogno di prefazioni. Ma la sua pittura meriterebbe uno studio accurato, se la si potesse seguire anno per anno: da quel Goldoni che visita Rousseau (del 1869) a le Armonie fiorentine (dell' ultima esposizione veneziana); dal Sola alle Renaiole, dalle Macchiaiole di San Rossore alla Vendemmia allegra. Arduo e difficile lavoro, che, per il breve spazio consentito a un articolo, si muterebbe in una pagina catalogica e sarebbe meschino. Meglio è, invece, presentare il Gioli psicologicamente, nel complesso dell'opera sua, che è fatta di ricorsi: come se in fondo al sue pensiero voci sopite si ridestassero a un tratto per fargli percorrere con nuove idee e con nuove manifestazioni una via nota e cara. Così, per esempio, un motivo vendemmiale si ripete in lui a parecchie riprese e vien riprodotto in diversi quadri. Abbiamo infatti nel 1885 l'Autunno e la Vendemmia; nel 1886 il Tempo di vendemmia; nel 1889 il Ritornando dalla vendemmia; nel 1908 Vendemmia allegra. Ma quale processo di intensificazione e che gioia di vita a mano a mano che nei suoi spiriti maturi l'ottobre coi suoi pampani ha dato all'artista più profonde le visioni della vendemmia.

Il primo quadro è una testa di fanciullo bellissimo e ricciuto che si perde nella dovizia bionda di un grappolo: cornice di succhi alle sue fresche linfe; l'ultimo è decorativamente innestato di giovani teste e di viridi fronde: e non si sa se la mano robusta del vendemmiatore si appronti a cogliere i grappoli onde uscirà la nota ebbrezza del vino, o piuttosto a carpire a quelle giovinezze inconsce e ridenti le delizie della vita, della maternità e delle nozze. E tra questi due quadri gli altri tre, nei quali è sempre sposata la gioventù della carne a quella del grappolo, come se il pittore non sapesse immaginare l'uomo senza riconnetterne la lunga esistenza alla vicenda delle stagioni, datrici di ricchezza e di allegrezza. E non è questo il solo motivo ricorrente; che un altro ne appare, manifestamente geniale: l'acqua. Per Francesco Gioli l'acqua non ha mormorii di cascatelle, delizie di rocce prodighe, carezze di erbe e di fiori lungo i margini umidi: no, no....

I motivi in sordina non gli piacciono: né gli giova il madrigale dell'acqua al fiore. Nel 1872 dipinge l'Acqua in una gran polla portata in testa da un'anziana nell'atto di dissetare una giovinetta; un anno dopo dipinge una donna forte, dall'anca solida e grave, che porta attraverso la largura d'una bella campagna la sua brocca capace: la Portatrice d'acqua; nel 1891 dipinge la Gioventù, una giovinetta snella e graziosa che s'avvia colla brocca sotto il braccio a riempirla d'acqua; nel 1892 ci offre la Contadina toscana: una giovine forte se non bella, che se ne vien rapida e lieve sotto il peso della panciuta anfora colma; nel 1904 in una mirabile tempera immagina una forte testa di contadina inseparata dalla vasta brocca. Sicchè l'acqua per lui è linfa, è sostanza, è vita: l'acqua serve alla forza e alla gioventù, l'acqua è, con Talete, "il principio", l'acqua è la voluttà della sete spenta, l'acqua è l'amica pura, e felice della purità e della felicità....



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