Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - nr 185 - Maggio 1910)
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L'esposizione internazionale d'arte in Roma

 
Proprio in questi giorni a Venezia si è inaugurata la nona esposizione internazionale d'arte, che segue di pochissimi mesi la chiusura dell'ottava e che, per virtù di organizzazione e per intrinseco valore delle opere inviate sulla laguna da ogni parte del mondo civile, appare non meno importante di tutte le precedenti. E mentre Bruxelles e Buenos Aires preparano mostre le quali attirano le migliori energie con la speranza di larghi guadagni e di onori, Roma, accingendosi a celebrare una festa patriottica che è ad un tempo una glorificazione della civiltà e dello spirito umano, non trova di meglio che raccogliere fra le sue mura ciò che dello spirito è la più alta manifestazione e il più nobile conforto. In questo nuovo fremito di rinascenza che ci scuote e ci desta, in questa rinnovata primavera italica, in quest'impeto di vita che tutti ci possiede, in questo sogno di bellezza che feconda il nostro pensiero e il nostro sentimento, la vecchia Società degli amatori e cultori di belle arti ha aperta nelle sale del palazzo di via Nazionale la sua ottantesima esposizione di quadri e di sculture.

Vecchia di anni, ma ringiovanita nei propositi, da quando la fede di pochi uomini intese che una esposizione non vive di facili vittorie, ma deve essere centro di progresso, di emulazione ardente, di educazione civile e, rompendo risolutamente la vergognosa tradizione delle compiacenze e del disordine, lottando con l'indifferenza delle autorità, con l'influenza delle camarille, con la diffidenza del pubblico, con le difficoltà finanziarie più aspre, seppe raccogliere le migliori energie, disciplinandone gli sforzi prima disuniti.

Contro questa organizzazione, la quale prima di ogni altra cosa si è proposta di bandire le abborracciature del dilettantismo e le abili trappole tese dal mestiere agli occhi e alla borsa degli inesperti, cerca di muover guerra lo scontento dei disillusi, ma ogni armeggìo è destinato a cadere nel vuoto, perchè, fortunatamente, indietro non si ritorna. Il giorno in cui il pubblico si persuadesse che l'esposizione è una specie di fiera e un concorso di meschine vanità, tornerebbe a disinteressarsene completamente. Ed un'esposizione che viva da sè, come una efflorescenza sporadica, estranea al giudizio della moltitudine, fuori della partecipazione comune, è irrimediabilmente destinata a morire.

Io non so se per virtù singolare di opere esposte la mostra attuale possa dirsi più importante delle altre che l'hanno preceduta in questi ultimi anni, i quali hanno consacrato il successo della iniziativa della Società di amatori e cultori. Certo l'insieme delle sale si presenta più arioso e più decoroso, per effetto sopra tutto del fregio semplice ed elegante che fu ideato da Galileo Chini e che ricorre intorno intorno al sommo delle pareti. In questo modo non solo l'esposizione si è arricchita di una decorazione sobria e sempre bene intonata, ma il velario di tutti gli ambienti, di cui sempre fu lamentata la bassezza, ha potuto essere alzato di circa un metro e mezzo.

Nelle ventinove sale di cui la mostra si compone, pur dopo la selezione accurata e severa compiuta dal comitato di accettazione, hanno potuto trovar posto settecento trentuna opere, in cui varie fra le più notevoli tendenze che tengono il campo dell'arte internazionale appariscono rappresentate. Il vistoso premio Muller ha, come sempre, richiamata un'eletta accolta di pittori tedeschi, fra i quali vengono in primissima linea Ludwig Dettmann, Carl Friedrik Frieseke, Hans Wagner e Carlo Otto.

L'arte poderosa del Dettmann ha saputo trarre ottimi effetti da un soggetto che si prestava assai bene a metterne in valore tutte le qualità di sintesi e di vigore. La Tempesta autunnale nel villaggio e quadro di grande effetto, dipinto con molta sapienza; sopra le case chiuse, tra gli alberi a cui il vento strappa rabbiosamente le foglie, è diffuso veramente il senso dell'aspettazione: l'aspettazione dell'uragano minacciato dalle nubi che salgono, salgono come spire immani, si lacerano in brandelli, si ricompongono, combattono, si accavallano, si allargano paurosamente per il cielo.

Fine, poetico, signorile, Carl Friedrick Frieseke si ispira a visioni tenui, che ingentilisce con una straordinaria delicatezza di colorito. Egli dipinge in sordina, nobilitando le forme che tocca, diffondendo mille visioni stanche in quel suo Fiume, sul quale una giovinetta naviga silenziosamente verso il sogno e verso l'infinito. Di grande evidenza è l'angolo di Villa Borghese che Hans Wagner ha saputo dipingere con una tecnica tanto sobria e pur tanto efficace. Sotto i pini, che si levano immobili nel chiarore, l'aria circola liberamente, ed ogni rapporto di luce e d'ombra, di piani e di distanze è reso semplice con precisione mirabile.

Carlo Otto, infine, con la Famiglia, raccolta nel giardino intorno alla tavola da the, dimostra che è possibile ottenere potenti effetti di luce senza acrobatismi e bizzarrie di tecniche artificiose, e contende forse al norvegese Halfdan Strom il vanto di aver dato all'esposizione le migliori pitture di sole.

Tra gli italiani ecco Arturo Noci con un ritratto di bimba, arioso, distinto, ottimamente disegnato e con due visioni di Burano che nelle sfumature delicate rispecchiano la divina malinconia della laguna, ecco Felice Casorati con le sue vecchiette argute e con quella Cugina che è ad un tempo un bel documento di bravura pittorica e un piccolo capolavoro d'intuizione psicologica, ecco Bartolomeo Bezzi con un grazioso ritratto di bambina e con i suoi paesaggi solidi e suggestivi, e Pietro Brenda con un mare agitato dal libeccio, mobile, pauroso, che perde nell'infinito la sua solitudine plumbea, e Maurizio Barricelli con tre ritratti dalla fattura semplice e larga, rivelazioni di anime, e Guglielmo Ciardi che traduce le armonie del sentimento in armonie di luce e di colore, e Camillo Innocenti con le sue figure femminili elegantissime, ma troppo aeree, troppo incorporee, e con una Caccia alla volpe piena di movimento vibrante, di richiami, di guizzi di code, di abbaiamenti il cui eco si ripercuote e si spegne per le lontananze della campagna, ecco Enrico Coleman apparirci ringiovanito per virtù di una ispirazione ora più di prima calda e sincera, e Corinna Modigliani con un gruppo di bimbi vivace e luminoso, e Ida Bidoli Salvagnini con una mite figura di giovinetta, e Pieretto Bianco con un angolo di laguna che riflette l'infinita tristezza di una giornata grigia, e Paolo Ferretti con un Mattino sonante di trilli e di vento, e Onorato Carlandi con l'indicibile poesia delle rovine e della campagna romana tragica, desolata, solenne, e Umberto Coromaldi rivelatosi a un tratto animalista assolutamente eccezionale con una serie di cani dallo sguardo bonario e pensoso, veri filosofi, di cui l'artista ha saputo cogliere e rendere con insuperabile bravura non solo la vita esteriore, ma le varietà del tipo e degli istinti.

La mostra di un gruppo di sculture di Giuseppe Romagnoli poco aggiunge alla fama del giovane scultore bolognese. Ricercatore paziente, elegante compositore, egli possiede tutte le qualità plastiche atte a rendere il vero con suggestiva evidenza. Ma un'arte la quale tenti di sfruttare soltanto le risorse della forma finisce con L'intristire, e i delicati nudi femminili del Romagnoli, corretti, raffinati, seducenti, i suoi ritratti ariosi, ma freddi, non bastano a farci dimenticare il Salvo e le Anime umane esposte a Venezia nel 1901, opere in cui l'intento psicologico prevaleva su quello formale e si rivelava con l'espressione forse un poco uniforme, ma sempre commovente, di un sentimento che conserva la virtù di centuplicare il nostro affetto, di farci provare più vivo il bisogno dell'espansione, di una parola cara, di un cuore pronto al conforto, di un'anima in cui poter riposare.

A buon conto, la rappresentazione dell'amor materno, che ha ispirato al Romagnoli, oltre le due opere ricordate, anche Terra Mater, dalla Galleria internazionale di arte moderna della città di Venezia inviata alla mostra di Roma, deve essere particolarmente gradita agli scultori. Ce ne offre un altro esempio Adolfo Apolloni con uno dei suoi gruppi armoniosi, dalla fattura aristocratica, nei quali l'ispirazione classica apparisce interpretata e tradotta con novità di sentimento. Una madre sorride ad un suo piccino, fissandolo con amore intenso, ed è in quel sorriso una bontà profonda, che affascina e commuove.
 
Vicino ad un artista insigne, tra le opere dei giovani che più largamente e sicuramente lasciano sperare di loro, mi piace di ricordare qui un ottimo studio di testa Pier Enrico Astorri, la Spiga di Amleto Cataldi, e, sopratutto, tre bronzi e una piccola terracotta di Nicola Dantino. Scultore ad un tempo vigoroso e delicato, capace di ravvivare una bella forma con un profondo sentimento, lavoratore silenzioso, ma instancabile, il Dantino espone un nudino di donna di rara solidità e un ritratto di bambino che, per la vivacità dell'espressione e per la modellatura franca, nervosa, efficacissima, è una delle sculture a buon diritto più aminirate della mostra. Ma tutta la sua fantasia arguta e bonaria, tutto il suo acuto spirito di osservazione appariscono nella Processione, cinque figurine di bimbi, nelle quali il sentimento del patetico si associa ad una comicità irresistibile.


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