Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - nr. 94 - Ottobre 1902)

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ESPOSIZIONE QUADRIENNALE DI BELLE ARTI IN TORINO

 

L'AMBIENTE.

Sembrava a molti che, legata la propria fortuna alla 1° Mostra d'Arte decorativa moderna, l'Esposizione quadriennale di Belle Arti dovesse richiamare, non solo il concorso fervoroso degli artisti, ma l'affettuosa attenzione del pubblico. La realtà è invece ben altra. Le feste ufficiali e popolari che si sono succedute fra il fiorire della primavera ed il raggiare caldo dell'estate, hanno distolto l'attenzione, anche dei migliori, dalle prove vitali che i nostri artisti han dato. I critici si son occupati pochissimo dei quadri e delle statue ed han badato, piuttosto, al fenomeno assai più vivace ed interessante del processo decorativo in Italia e fuori : gli acquisti sono stati più che limitati : e mancando quel ricambio d'idee, quella fraternità d'intenti, quell' analogia d'azione che sono ancora e saranno sempre la base materiale e spirituale onde le solennità dell'arte trionfano sulle povere cose quotidiane, i risultati appaiono disgraziatamente effimeri. Sarebbe vana ed inutile ogni recriminazione : ma certo, nell' apprestare questa esposizione, nei tentativi di darle luce e calore, si è mancato gravemente, lasciandola abbandonata ai pericoli della féerie, permettendo che l'affermazione d'un ideale artistico potesse confondersi con una fiera di vanità e con un mercato coperto, ove la folla festaiola avrebbe trovato spettacoli e divertimenti a iosa, cosi da mettere in solluchero anche coloro che di scalpelli e di tavolozze s'infischiano borghesemente e crassamente, come di arnesi perfettamente non necessari.


Le gallerie paiono povere: gli ambienti gelidi. Una decorazione che voleva essere severa, sembra pensatamente meschina. Tutta la gloria di poesia che diffonde il Valentino, coi suoi tappeti erbosi, i suoi viali d'acacie e di tigli, il digradare lento e dolce dei piani verso le acque del Po, ha perduto ogni profumo, ogni suggestione. L'ambiente si è spogliato d' ogni grazia. E, necessariamente, l'opera particolare e complessa dei nostri artisti non ha potuto avere quel lievito di entusiasmo, quel soffio di fede che sanno parlare all'anima contemporanea e trattenerla in colloqui amorosi e cari.

C'e bisogno di recar I'esempio di Venezia? Ci sarebbe da credere che, con la rapidità eccessiva con cui le esposizioni si succedono, i segreto della buona fortuna non dovesse più essere sconosciuto. Invece ciò che nascosto è apparso veramente, in questa Quadriennale torinese, è il benefizio che reca il chiudere in una persona sola, in un intelletto superiore che veda tutto e tutto sappia, che segua e impersonifichi gli sforzi collettivi, che ami di un affetto appassionato quanto le è dattorno, le emanazioni delle varie forze che costituiscono il buon esito d'un'impresa. Di Antonio Fradeletto e di Riccardo Selvatico, del loro mirabile esempio, a Torino non avemmo neppur l'ombra. Una commissione di preparazione, si sa, la si trova dappertutto. Ed anche si trova chi si sobbarca a giudicare ed a collocare l'opera altrui. Ma era di uomini capaci dei maggiori sacrifici, innamorati della solennità cui arrischiare il loro nome e la loro benemerenza, di uomini pronti a sorvegliare, a vedere, a consigliare, a sanzionare ogni minimo particolare, dall'addobbo d'una sala all'audacia di un invito che potesse sollevare delle proteste, che si aveva bisogno.

 

E questo uomo e mancato, E coll'assenza di un'individualità sana e forte che lo alimentasse del proprio fervore, del proprio entusiasmo, l'ambiente non ha potuto altrimenti che essere viziato, che avere in se un poco di tutte le debolezze, le indifferenze, le insipienze, diciamo pure, che erano nell'aria. Un atto fermo, risoluto, violento poteva pregiudicare soverchiamente. Meglio correre l'alea delle cose solite e comuni.... I precipizi sarebbero stati evitati. E queste venti sale della "Quadriennale" risentono i criteri che predominavano in chi le ordinò. Più che un locale d'esposizione artistica, è una camerata sezionata di tribunale e di quartiere. Sull'arco d'ogni porta sembra di dover leggere il più bugiardo degli aforismi umani : " La legge è uguale per tutti ".

E' un peccato che questa congiura di spiritelli occulti abbia nociuto all'Esposizione, perché di opere buone, se non eccezionali, essa non ha difetto. Le mille e più che vi son raccolte non segnano un movimento artistico saliente, non rappresentano neppure tenuamente una tendenza novatrice, ma dicono, se non altro, che le speranze e le attività dei nostri artisti non vengono meno, pur anche fra i rovi e le spine che abbondano ogni giorno di più lungo le vie dell'arte. E se c'e da rammaricarsi che la Mostra non desti quell' interesse nel pubblico che sarebbe desiderabile, gli è appunto perchè si veggono, senza la gioia d'uno sguardo, senza il conforto di una parola, tele e marmi che sono il frutto di studi lunghi, affettuosi e pazienti. Quando in una Mostra vi sono esposizioni cicliche di Mose Bianchi, di Telemaco Signorini, di Giuseppe Ricci, per non accennare subito che a quei pochi che il destino ci ha strappati, non si può dire che essa non debba a sufficienza interessare. Bisogna adunque proprio ritenere che l'organizzazione della Esposizione non sia stata sufficientemente curata. Non per questo la critica deve tacere. Mai, anzi, come in cotesti casi essa ha I'obbligo di compiere l'ufficio suo che e di correggere, di consigliare, di additare il buono dove effettivamente c' e. Altrimenti essa diventa filistina : e segue la corrente dei più. E la critica, per mostrarsi quale dev'essere, deve andare contro corrente. 

LE MOSTRE INDIVIDUALI

Le mostre individuali sono ora di moda. Esse hanno però, quasi sempre, un difetto organico. Ed è che mostrano l'artista sotto un aspetto difficilmente completo. E difficile, per non dire impossibile, che un artefice il quale abbia raggiunto una bella notorietà nell'arte, possa raccogliere la migliore e più notevole e significativa parte della sua opera complessiva. Essa va quasi sempre dispersa. Non sempre musei e privati sono disposti a cedere ciò che conservano preziosamente. Ne consegue che di un artista si espongono quelle dieci, quindici opere che si son potute raccogliere e che vanno dai primi tentativi all'ultima evoluzione, ma non additano ne rivelano le trasformazioni, gli studi, le tendenze saltuarie che sono, per lo studioso, gli elementi più interessanti.

Neppure Venezia ha potuto sfuggire a questo appunto, essa che ordinò cosi meravigliosamente la mostra individuale del Favretto. Tutti sanno come debole sia riuscita la raccolta del Michetti. Ora, Torino ha voluto, se non copiare, certamente seguire l'esempio di Venezia. Ma infinite difficoltà gli si sono presentate per raggiungere completamente e felicemente l'intento. Mancata la mostra di Domenico Morelli (che anche semplicemente colla mostra dei disegni per la Bibbia avrebbe potuto raccogliere moltissime simpatie), non superata la grande difficoltà di un'esposizione fontanesiana di bianco e nero, si dovette abbondare nei viventi : e cosi si concessero sale a Gaetano Previati, a Giacomo Grosso, a Vittorio Cavalleri, e pareti a P. C. Gilardi, a Marco Calderini, a Carlo Follini. Ma offeriscono questi artisti opere tali che attestino la loro potestà artistica, che diano, dirò, i tratti caratteristici della loro fisionomia ? Sarebbe gravemente in errore chi volesse del Grosso, per esempio, trarre da questa sua sala i vari aspetti della sua personalità. Egli ha saputo parlare, colla tela, altre volte assai più alto che qui non parli. C'e un Grosso qui audace coloritore, disegnatore efficacissimo. Ma non v'è tutta la rivelazione del suo caldo temperamento d'artista. Errore, quindi, nel dare, in mostre personali di artisti viventi, cosi poco. Meglio queste cinque, sei, sette opere collocarle, senz'ordine, insieme alle altre tele, piuttostochè raccoglierle per esprimere un significato che in verità non ripetono.

 

Giuseppe Ricci, che la morte ci ha dolorosamente tolto poco più d'un anno fa, e indubbiamente meglio rappresentato. L'affetto di quella che gli fu compagna nella vita - una vita consacrata con fede antica all'arte -,  il cuore memore degli amici, la riconoscenza della stessa Società Promotrice, di cui fu per un pezzo segretario attivissimo, poterono concorrere insieme a costituire una mostra che lo ricordasse degnamente. Ed il Ricci, se non colla sua balda e pensosa figura di acuto e paziente ricercatore di effetti e di tecniche novatrici, emerge della collana postuma delle cose site con quel sentimento fine, aristocratico, fatto di poesia e di studio, che era il substrato del suo carattere. Dai tentativi naturalistici compiuti ancora quando la sua mente non s'era fissata ad un'idealità ben determinata, attraverso alle opere uscite dopo gli insegnamenti del Bonnat, dopo il raccoglimento tutto personale, dopo i momenti di dubbio, sino alle tele in cui era espresso finalmente il pensiero dell'artista solitario come effettivamente voleva e doveva essere, abbiamo in questa piccola, ma preziosa raccolta, il meglio della tavolozza del Ricci. Una tavolozza pastosa, delicata, che sapeva esprimere le cose meno rappresentabili : che sapeva dar vita ad impronte ed a scene le più immateriate : che si volgeva piuttosto all'anima che agli occhi di chi la guardava. Un disegno sempre corretto, che ha la sua massima espressione in quel Raspodo che Marco Calderini volle battezzare in Omero, e che è ancor qui, sano e vitale, pur fra le screpolature che pochi anni di oblio gli hanno cagionato. Il Ricci sentiva della vita il lato essenzialmente raccolto e pensieroso. Se non avesse fatto il pittore, sarebbe stato un poeta, ed un poeta di quelli che avrebbero toccato le corde più intime e dolci della lira. Nell'ultimo periodo della sua attività, risoluta ormai, esso tende a manifestare il lato più amabile della poesia umana ; tende ad esprimere quasi il mistero che è in tutti i cuori verso una fede, che ha già tulle le forme definite della realtà e realtà non la è ancora. Intende la bellezza femminile con una punta quasi preraffaellita ; dei corpi ricerca sovratutto la calma ed il riposo. L'atteggiamento è talvolta, si direbbe, involuto, per questa sua ansia di imprimere nella figura il soffio, l'alito d'un sogno.

 

Per quale cammino lungo, difficile ed aspro vi è pervenuto ? Vien voglia davvero di saperlo, se si pongono a contrasto le due tele Dopo il bagno, l'una di una espressione quasi favrettiana, vecchia di vent'anni fa, l'altra, più recente, come sfumata in un'ombra di mestizia e di dolore. Quest' ultima opera che presentava poche risorse di disegno, ha nel nudo della figura principale un accento di pastosità fresca e semplice che non si saprebbe dove ritrovare più limpidamente interpretata. Questo bisogno di palesare le cose e le figure intravvedute dal suo spirito superiore, che si compiaceva del silenzio e che appunto perciò non mai completamente si conobbe, si manifesta non solo nelle qualità dirette della pittura, ma nella ricerca del soggetto, che ha qualche attacco, qualche inspirazione, si direbbe, letteraria. Ecco il Pain bénit, le Comunicanti, che son qui. E l'Annunciazione, di una linea superbamente inglese, che e al Museo Civico. E la Madonna col bambino per il concorso, vittorioso, dell'Alinari di Firenze. Ecco la Vigilia del sepolcro... II quadro di genere non lo tenta più. Egli abbandona ogni senso commerciale. Tende all'alto, allo spirituale, ma non all'incomprensibile. E in diretta comunione col cuore di chi lo vede, ed è un intendimento, una commozione particolare che infonde, un senso di benessere. Non parla, cosi, soltanto coi quadri d'indole eminentemente sacra, ma anche coi semplici quadretti colti dal vivo, come Alla finestra, proprietà dell'amico cav. Carlo Grosso, e coi ritratti, di cui è alla Mostra un saggio vigoroso con quello della madre. Nel quale non si sa se più ammirare i risultati ottenuti con una notevole semplicità di mezzi, od il valore tutto del quadro che si impone per la maestà e la vivezza della persona che ci ricrea con tanta soave naturalezza.

 

 

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