L'AMBIENTE.
Sembrava a molti che, legata la propria fortuna alla 1°
Mostra d'Arte decorativa moderna, l'Esposizione quadriennale
di Belle Arti dovesse richiamare, non solo il concorso
fervoroso degli artisti, ma l'affettuosa attenzione del
pubblico. La realtà è invece ben altra. Le feste ufficiali e
popolari che si sono succedute fra il fiorire della
primavera ed il raggiare caldo dell'estate, hanno distolto
l'attenzione, anche dei migliori, dalle prove vitali che i
nostri artisti han dato. I critici si son occupati
pochissimo dei quadri e delle statue ed han badato,
piuttosto, al fenomeno assai più vivace ed interessante del
processo decorativo in Italia e fuori : gli acquisti sono
stati più che limitati : e mancando quel ricambio d'idee,
quella fraternità d'intenti, quell' analogia d'azione che
sono ancora e saranno sempre la base materiale e spirituale
onde le solennità dell'arte trionfano sulle povere cose
quotidiane, i risultati appaiono disgraziatamente effimeri.
Sarebbe vana ed inutile ogni recriminazione : ma certo,
nell' apprestare questa esposizione, nei tentativi di darle
luce e calore, si è mancato gravemente, lasciandola
abbandonata ai pericoli della
féerie, permettendo che l'affermazione d'un ideale
artistico potesse confondersi con una fiera di vanità e con
un mercato coperto, ove la folla festaiola avrebbe trovato
spettacoli e divertimenti a iosa, cosi da mettere in
solluchero anche coloro che di scalpelli e di tavolozze
s'infischiano borghesemente e crassamente, come di arnesi
perfettamente non necessari.
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Le gallerie paiono povere: gli ambienti gelidi. Una
decorazione che voleva essere severa, sembra pensatamente
meschina. Tutta la gloria di poesia che diffonde il
Valentino, coi suoi tappeti erbosi, i suoi viali d'acacie e
di tigli, il digradare lento e dolce dei piani verso le
acque del Po, ha perduto ogni profumo, ogni suggestione.
L'ambiente si è spogliato d' ogni grazia. E,
necessariamente, l'opera particolare e complessa dei nostri
artisti non ha potuto avere quel lievito di entusiasmo, quel
soffio di fede che sanno parlare all'anima contemporanea e
trattenerla in colloqui amorosi e cari.
C'e bisogno di recar I'esempio di Venezia? Ci sarebbe da
credere che, con la rapidità eccessiva con cui le
esposizioni si succedono, i segreto della buona fortuna non
dovesse più essere sconosciuto. Invece ciò che nascosto è
apparso veramente, in questa Quadriennale torinese, è il
benefizio che reca il chiudere in una persona sola, in un
intelletto superiore che veda tutto e tutto sappia, che
segua e impersonifichi gli sforzi collettivi, che ami di un
affetto appassionato quanto le è dattorno, le emanazioni
delle varie forze che costituiscono il buon esito
d'un'impresa.
Di Antonio Fradeletto e di Riccardo Selvatico, del loro
mirabile esempio, a Torino non avemmo neppur l'ombra. Una
commissione di preparazione, si sa, la si trova dappertutto.
Ed anche si trova chi si sobbarca a giudicare ed a collocare
l'opera altrui. Ma era di uomini capaci dei maggiori
sacrifici, innamorati della solennità cui arrischiare il
loro nome e la loro benemerenza, di uomini pronti a
sorvegliare, a vedere, a consigliare, a sanzionare ogni
minimo particolare, dall'addobbo d'una sala all'audacia di
un invito che potesse sollevare delle proteste, che si aveva
bisogno.
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E
questo uomo e mancato, E coll'assenza di un'individualità
sana e forte che lo alimentasse del proprio fervore, del
proprio entusiasmo, l'ambiente non ha potuto altrimenti che
essere viziato, che avere in se un poco di tutte le
debolezze, le indifferenze, le insipienze, diciamo pure, che
erano nell'aria. Un atto fermo, risoluto, violento poteva
pregiudicare soverchiamente. Meglio correre l'alea delle
cose solite e comuni.... I precipizi sarebbero stati
evitati. E queste venti sale della "Quadriennale" risentono
i criteri che predominavano in chi le ordinò. Più che un
locale d'esposizione artistica, è una camerata sezionata di
tribunale e di quartiere. Sull'arco d'ogni porta sembra di
dover leggere il più bugiardo degli aforismi umani : " La
legge è uguale per tutti ".
E' un peccato che questa congiura di spiritelli occulti
abbia nociuto all'Esposizione, perché di opere buone, se non
eccezionali, essa non ha difetto. Le mille e più che vi son
raccolte non segnano un movimento artistico saliente, non
rappresentano neppure tenuamente una tendenza novatrice, ma
dicono, se non altro, che le speranze e le attività dei
nostri artisti non vengono meno, pur anche fra i rovi e le
spine che abbondano ogni giorno di più lungo le vie
dell'arte. E se c'e da rammaricarsi che la Mostra non desti
quell' interesse nel pubblico che sarebbe desiderabile, gli
è appunto perchè si veggono, senza la gioia d'uno sguardo,
senza il conforto di una parola, tele e marmi che sono il
frutto di studi lunghi, affettuosi e pazienti. Quando in una
Mostra vi sono esposizioni cicliche di Mose Bianchi, di
Telemaco Signorini, di Giuseppe Ricci, per non accennare
subito che a quei pochi che il destino ci ha strappati, non
si può dire che essa non debba a sufficienza interessare.
Bisogna adunque proprio ritenere che l'organizzazione della
Esposizione non sia stata sufficientemente curata. Non per
questo la critica deve tacere. Mai, anzi, come in cotesti
casi essa ha I'obbligo di compiere l'ufficio suo che e di
correggere, di consigliare, di additare il buono dove
effettivamente c' e. Altrimenti essa diventa filistina : e
segue la corrente dei più. E la critica, per mostrarsi quale
dev'essere, deve andare contro corrente.
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LE MOSTRE INDIVIDUALI
Le mostre individuali sono ora di moda. Esse hanno però,
quasi sempre, un difetto organico. Ed è che mostrano
l'artista sotto un aspetto difficilmente completo. E
difficile, per non dire impossibile, che un artefice il
quale abbia raggiunto una bella notorietà nell'arte, possa
raccogliere la migliore e più notevole e significativa parte
della sua opera complessiva. Essa va quasi sempre dispersa.
Non sempre musei e privati sono disposti a cedere ciò che
conservano preziosamente. Ne consegue che di un artista si
espongono quelle dieci, quindici opere che si son potute
raccogliere e che vanno dai primi tentativi all'ultima
evoluzione, ma non additano ne rivelano le trasformazioni,
gli studi, le tendenze saltuarie che sono, per lo studioso,
gli elementi più interessanti.
Neppure Venezia ha potuto sfuggire a questo appunto, essa
che ordinò cosi meravigliosamente la mostra individuale del
Favretto. Tutti sanno come debole sia riuscita la raccolta
del Michetti. Ora, Torino ha voluto, se non copiare,
certamente seguire l'esempio di Venezia. Ma infinite
difficoltà gli si sono presentate per raggiungere
completamente e felicemente l'intento. Mancata la mostra di
Domenico Morelli (che anche semplicemente colla mostra dei
disegni per la Bibbia avrebbe potuto raccogliere moltissime
simpatie), non superata la grande difficoltà di
un'esposizione fontanesiana di bianco e nero, si dovette
abbondare nei viventi : e cosi si concessero sale a Gaetano
Previati, a Giacomo Grosso, a Vittorio Cavalleri, e pareti a
P. C. Gilardi, a Marco Calderini, a Carlo Follini. Ma
offeriscono questi artisti opere tali che attestino la loro
potestà artistica, che diano, dirò, i tratti caratteristici
della loro fisionomia ? Sarebbe gravemente in errore chi
volesse del Grosso, per esempio, trarre da questa sua sala i
vari aspetti della sua personalità. Egli ha saputo parlare,
colla tela, altre volte assai più alto che qui non parli.
C'e un Grosso qui audace coloritore, disegnatore
efficacissimo. Ma non v'è tutta la rivelazione del suo caldo
temperamento d'artista. Errore, quindi, nel dare, in mostre
personali di artisti viventi, cosi poco. Meglio queste
cinque, sei, sette opere collocarle, senz'ordine, insieme
alle altre tele, piuttostochè raccoglierle per esprimere un
significato che in verità non ripetono.
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Giuseppe Ricci, che la morte ci ha dolorosamente tolto
poco più d'un anno fa, e indubbiamente meglio rappresentato.
L'affetto di quella che gli fu compagna nella vita - una
vita consacrata con fede antica all'arte -, il cuore
memore degli amici, la riconoscenza della stessa Società
Promotrice, di cui fu per un pezzo segretario attivissimo,
poterono concorrere insieme a costituire una mostra che lo
ricordasse degnamente. Ed il Ricci, se non colla sua balda e
pensosa figura di acuto e paziente ricercatore di effetti e
di tecniche novatrici, emerge della collana postuma delle
cose site con quel sentimento fine, aristocratico, fatto di
poesia e di studio, che era il substrato del suo carattere.
Dai tentativi naturalistici compiuti ancora quando la sua
mente non s'era fissata ad un'idealità ben determinata,
attraverso alle opere uscite dopo gli insegnamenti del
Bonnat, dopo il raccoglimento tutto personale, dopo i
momenti di dubbio, sino alle tele in cui era espresso
finalmente il pensiero dell'artista solitario come
effettivamente voleva e doveva essere, abbiamo in questa
piccola, ma preziosa raccolta, il meglio della tavolozza del
Ricci. Una tavolozza pastosa, delicata, che sapeva esprimere
le cose meno rappresentabili : che sapeva dar vita ad
impronte ed a scene le più immateriate : che si volgeva
piuttosto all'anima che agli occhi di chi la guardava. Un
disegno sempre corretto, che ha la sua massima espressione
in quel Raspodo che Marco Calderini volle
battezzare in Omero, e che è ancor qui, sano e vitale, pur
fra le screpolature che pochi anni di oblio gli hanno
cagionato. Il Ricci sentiva della vita il lato
essenzialmente raccolto e pensieroso. Se non avesse fatto il
pittore, sarebbe stato un poeta, ed un poeta di quelli che
avrebbero toccato le corde più intime e dolci della lira.
Nell'ultimo periodo della sua attività, risoluta ormai, esso
tende a manifestare il lato più amabile della poesia umana ;
tende ad esprimere quasi il mistero che è in tutti i cuori
verso una fede, che ha già tulle le forme definite della
realtà e realtà non la è ancora. Intende la bellezza
femminile con una punta quasi preraffaellita ; dei corpi
ricerca sovratutto la calma ed il riposo. L'atteggiamento è
talvolta, si direbbe, involuto, per questa sua ansia di
imprimere nella figura il soffio, l'alito d'un sogno.
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Per quale cammino lungo, difficile ed aspro vi è
pervenuto ? Vien voglia davvero di saperlo, se si pongono a
contrasto le due tele
Dopo il bagno, l'una di una espressione quasi
favrettiana, vecchia di vent'anni fa, l'altra, più recente,
come sfumata in un'ombra di mestizia e di dolore. Quest'
ultima opera che presentava poche risorse di disegno, ha nel
nudo della figura principale un accento di pastosità fresca
e semplice che non si saprebbe dove ritrovare più
limpidamente interpretata. Questo bisogno di palesare le
cose e le figure intravvedute dal suo spirito superiore, che
si compiaceva del silenzio e che appunto perciò non mai
completamente si conobbe, si manifesta non solo nelle
qualità dirette della pittura, ma nella ricerca del
soggetto, che ha qualche attacco, qualche inspirazione, si
direbbe, letteraria. Ecco il Pain bénit, le
Comunicanti, che son qui. E l'Annunciazione, di
una linea superbamente inglese, che e al Museo Civico. E la
Madonna col bambino per il concorso, vittorioso,
dell'Alinari di Firenze. Ecco la Vigilia del sepolcro...
II quadro di genere non lo tenta più. Egli abbandona ogni
senso commerciale. Tende all'alto, allo spirituale, ma non
all'incomprensibile. E in diretta comunione col cuore di chi
lo vede, ed è un intendimento, una commozione particolare
che infonde, un senso di benessere. Non parla, cosi,
soltanto coi quadri d'indole eminentemente sacra, ma anche
coi semplici quadretti colti dal vivo, come
Alla finestra, proprietà dell'amico cav. Carlo
Grosso, e coi ritratti, di cui è alla Mostra un saggio
vigoroso con quello della madre. Nel quale non si sa se più
ammirare i risultati ottenuti con una notevole semplicità di
mezzi, od il valore tutto del quadro che si impone per la
maestà e la vivezza della persona che ci ricrea con tanta
soave naturalezza.
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