Pillole d'Arte

    
Autori   |   Opere   |   Documenti   |   Bibliografia   |   Contatti   |   Esci

   
(Fonte : Albo artistico napoletano - 1853)

Pagina   1  |  2  |  3

Alcune opere di Belle Arti esposte al Real Museo Borbonico

nel Febbraio del 1851

 

   XII. Questa attitudine che suol mostrare un artista ad una specie di soggetti meglio che ad un' altra mi sembra appunto un'ampia testimonianza di quei confini segnati da Dio all'umano intelletto. Nè questo toglie menomamente alla eccellenza dell'artista; ed io non so qual de' due avrebbe riportato la palma infra Raffaele e Michelangelo, quando il primo avesse dovuto dipingere a prova di confronto un giudizio universale, e l'altro una effigie di Nostra Donna, senza che per le vicende di questa gara venisse punto ad oscurarsi quell' altissima luce la quale circonda li loro nome. Così a me sembra che in questa opera del concorso abbia fatto il Mancinelli quanto possa fare un artista, com' egli è, ricco di doni naturali e di pratica studiosamente acquistata, avendo alle mani un soggetto ch' egli forse non avrebbe scelto a trattare.

Volle il Mancinelli in due punti essenziali differire dagli altri concorrenti, nè ardirò dire per questo egli mancasse alla convenienza o fedeltà storica, essendo due punti ne' quali era lasciato a lui tutto libero il campo. Gli parse adunque che intorno al vecchio dovessero star meglio tutti quanti in ginocchio i figliuoli e tutti ad un tempo, siccome gli è piaciuto di rappresentarli. Nè il libro parla di alcuna attitudine uniforme presa da essi ne di altro cenno fatto loro dal padre, se non quello di raccogliersi intorno al letto e di ascoltare. Quindi l'artista poteva usare il linguaggio dell' arte sua in quella forma che a lui paresse, usando quei mezzi che più potentemente servissero a render variato il quadro e bene raggruppate le sue figure. Qui
mi ricordo infra gli altri di Niccolò Pussino che nell'esprimere la istituzione della Chiesa e le chiavi concedute a Pietro, non figurò nè il solo Pietro nè tutti i dodici apostoli inginocchiati al cospetto di Cristo, anzi fece quell' uso delle sue figure che meglio aiutasse la composizione del suo quadro, ed una parte di esse fece in ginocchio ed un altra in piedi. Ciò ch' egli non fece per alcuna ragione puramente speculativa o metafisica, ma per una ragione di arte Ia quale non deve in faccia alla prima nè esser signora nè serva, quando l'artista venga a circoscrivere il suo concetto nella tela o nel marmo. Quindi nel dar giudizi o precetti del bello alcuni sommi filosofi ai quali manca la conoscenza delle arti e de' loro mezzi, non seppero discendere alle felici applicazioni delle loro dottrine, e dall'altra parte i conoscitori più profondi ed esercitati nel linguaggio dell' arte apparvero oscuri ed incerti quando vollero risalire alle idee, ed alle ragioni prime del bello. Esempi delle due mentovate imperfezioni Emmanuele Kant e Giovanni Winckelmann , ciascun de' quali apparve minor di se medesimo in una di queste due parti che costituiscono la intera scienza del bello, sebbene il primo fosse un sottile ragionatore, e l' altro fosse principe fra gli scrittori i quali si fecero a studiare e ragionare sul bello dell' arte greca.


   XIII. E che il Mancinelli abbia scelto avvedutamente e con savio accorgimento questa universale attitudine veramente non pare, tanto più ch'egli non è pervenuto a distribuire quelle figure che una non nuocesse all' altra di soverchio, anzi le ha in modo affollate e strette che molte di esse non si mostrano se non in una piccola parte del capo. Egli ha figurato il letto del patriarca quasi nel mezzo del quadro e quasi volto di prospetto ai riguardanti, superando o volendo superare le difficoltà degli scorti e nel letto del morente e nelle parti inferiori del corpo e in una mano che si distende a benedire. Dal lato sinistro del letto vedi due soli figliuoli, Giuseppe e Giuda, dall' altro lato nove figliuoli tutti messi a schiera ed in perfetto ordine l'un dopo l'altro. Ne' quali voile rappresentare tutt' i figliuoli, tolto Beniamino che sta sul primo piano del quadro ginocchioni ed appiè del letto a cui si appoggia col dosso rivolto ai riguardanti. Dal che si rileva che il secondo punto nel quale il concetto del Mancinelli si distinse dagli altri si fu quello di rappresentare la benedizion di Giuda e non di Giuseppe. Ma in quanto al primo, il vedere quell' ordinanza uniforme di nove teste una vicina all' altra, e immaginare tanti corpi rinchiusi, senza respiro, in brevissimo spazio che malamente li può contenere, non è cosa che piaccia all' occhio nè che persuada l'intelletto. Anzi molto si dolsero (e parlo di artisti) non solamente che quel luogo fosse troppo angusto a raccoglierli tutti, ma ripresero le figure di quegli ultimi le quali pel rapido digradare che fa il piano del quadro, non possono in ragion di arte ne stare al tutto in piedi, ne poste al ginocchio. Ed ho creduto di mentovare gli artisti perchè non mancasse alle mie parole il conforto dell'autorità, ma non sarei troppo ardito affermando che l'occhio altresì di coloro che che non sono tali possa vedere in ciò quanto basti, massimamente quando essi non mancano di alcuni studi generali che oggi sono comuni ad ogni uomo. Cosi fu detto parimenti che tenendo Giacobbe alquanto sollevate le ginocchia e raccolte a se le gambe, non dovevano i piedi toccare all'estremo inferiore del letto ch'essi avrebbero oltrepassato nel distendersi. Nè fu lodata la mano che benedice perchè rappresentata in pieno scorto si mostra all' occhio meno che bella. Ma qui se alcuno troverà ingiusto che nel parlare degli altri io non abbia riportate le osservazioni fatte in ciò che più si avvicina ai confini dell' arte, dirò che il Mancinelli ne ha dato maggiore occasione volendo superare quelle difficoltà inseparabili dagli scorti, nei qual è sempre malagevole il provarsi ad uscirne con gloria.

E' però ritornando ne' limiti che mi sono imposto da principio, non tacerò che a molti parve soverchia vita nel corpo e nelle braccia del vecchio morente, il quale trasse l' ultimo respiro subito ch' ebbe compiuto quell' atto supremo della benedizione; nè l'acconciatura del capo o della barba è tale che rappresenti il disordine di quel momento e la morte vicina. In questo abbiam veduto con quanto successo si fosse provato il de Napoli, che seppe unire nella pietosa e veneranda figura del suo Giacobbe all' abbandono del corpo quel solo tanto di vita che bastasse, e non già nel corpo tutto intero, ma nelle sole braccia e nel volto.

   XIV. In quanto alla benedizione di Giuda, avendo io manifestata innanzi la mia opinione credo soverchio il ritornarvi sopra. Se non che trovo difficile a ravvisare in qual modo abbia creduto il Mancinelli di poter rendere riconoscibile dagli altri il suo Giuda. Ed io raffrontando l'aspetto di costui a quello di Ruben non trovo quella differenza molta di anni ch'era forse una delle qualità essenziali a farli discernere, ed il Ruben apparisce non solmente più giovine di Giuda ma eziandio di alcun altro de' suoi fratelli. La qual cosa parve ancora poco ragionevole in Beniamino, figura che fu trovata così meschina e scarsa ne' fianchi da far intendere ben poco la persona, sotto le pieghe di quella veste. E di ciò mi pare essere stato origine appunto la
poca età nella quale ha voluto rappresentarlo; età di fanciullo qual egli non era, già padre di molta prole. So che non gli mancherà in difesa la facile dottrina degli esempi, quelli di Beniamino e d'Isacco che furono rappresentati le più volte in forme fanciullesche. Licenza più scusabile in Isacco per l'attitudine che doveva prendere sul Moria e per la qualità del sacrificio imposto da Dio, meno scusabile in questo Beniamino del quale nessuno ignora essere stata la sua nascita cagion di morte alla buona Rachele, già da oltre a quarant' anni sepolta ed Efrata. Quando io veggo per contrario nel quadro del de Napoli seduto appresso al letto del vecchio uno dei figliuoli da lui tenuto stretto con la mano moribonda , mentre altra si distende a benedire Giuseppe, io dirò che quello è Giuda nel quale quella predilezione paterna mostra ben chiaro essersi trasferita la dignità di figliuol primogenito. E al modo_ stesso quell' altro seduto appiè del letto, e più vecchio di quanti fratelli gli stanno d'attorno non può esser altri che Ruben. Ma se una ragione particolare, quella di scegliere u momento di maggiore affetto, poteva consigliare la benedizion di Giuseppe, dicono molti che in quanto ad autorità ed importanza nella famiglia non è Giuseppe punto maggiore di Giuda, cosa che a me non sembra vera, massimamente se tu consideri il momento del quadro
e la famiglia di Giacobbe per tutto il tempo che Giuseppe gli sopravvisse.


Egli aveva chiamata presso di sè nell'Egitto quella numerosa discendenza di oltre a settanta, e sostenutala col suo patrocinio, e la nazione ebraica potè vivere tranquilla e rispettata non perchè Giuda ne fosse il capo, ma perchè Giuseppe se n'era fatto scudo e difensore, tanto che la mano degli oppressori venne ad aggravarsi sul capo loro solamente dopo la morte di Giuseppe. E sebbene fosse stato il quartogenito già sollevato al rango di primo, non trovo nella Genesi che a lui si rivolgano i fratelli dopo la morte paterna, ma bene a Giuseppe, tremando nel cuor loro che non volesse serbar memoria delle offese antiche e non volesse pigliarne vendetta. Vane paure innanzi a lui ch'era il santo de' fratelli, e che rispose ad essi di non temere. « Non sono io in luogo di Dio ? io sostenterò voi e le vostre famiglie. » Con le quali parole venne quasi a dichiararsi di facto capo e Principe della famiglia infino alla uscita dall'Egitto ch'egli prediceva ai fratelli, annunziando loro il paese giurato ad Abramo, ad Isacco e a Giacobbe. Ho dovuto udire i ragionamenti di molti filosofanti a voler provare che più solenne fosse il punto nel quale il vecchio costituisce Giuda alposto di Ruben ed annunzia la venuta di quello a cui si appartiene lo scettro. Veramente io non nego ciò, ed al nostro intelletto, second cristiani, deve pur esser quello un momento di grande importanza, e voglio dire suprema. Ma l'arte la quale ha sempre giusta ragione di scegliere il suo bello dove risiede, e costretta tal volta a procedere per vie diverse. Nessuno mi potrà negare che nella ultima cena dove il Signore dava in cibo ed in bevanda le sue carni ed il suo sangue ai discepoli, fosse questo il momento solenne nel quale il sacramento veniva instituito dal Divino maestro e fermato il patto novello. Ma non cosi parve a Leonardo, e l'arte nella quale egli fu Principe e legislatore trovò l'altro più bello nel quale il figliuolo dell'uomo annunzia ai discepoli con quelle parole di estrema amarezza che uno di loro lo avrebbe tradito.


   XV. Ma fosse pure Giuda o Giuseppe il benedetto, vorrei trovar sufficiente ragione a quella benedizione la quale dovrebbe esser compiuta con la man destra e che io veggo fatta con la imposizione della sinistra. Non vedo alcuna scusa, tanto più quarto era facilissima cosa che la mano la quale accenna al cielo, forse additando l'aspettato delle genti, fosse stata la sinistra. Non avrebbe dovuto l'egregio autore che ricordarsi un'altra benedizione raccontata nel capitolo quarantesimottavo della Genesi, laddove Giacobbe avendo innanzi a se i due figliuoli di Giuseppe, Manasse ed Efraimo, il primo dalla sua man destra ed il secondo dalla sinistra, distese in croce le braccia imponendo sul capo di Efraimo ch' era secondogenito, la sua man destra. Della qual cosa avendolo richiesto Giuseppe non volle il patriarca rimuovere le mani dal capo de'suoi nipoti e dichiarò che questo Efraimo cosi benedetto da lui con la destra doveva essere più grande e potente nella sua discendenza al
paragone del primogenito Manasse. Queste cose che furono da molti avvertite nel lavoro del Mancinelli non tolgono punto a quella gloria da lui acquistata. Perocchè l'artista il quale non è libero intorno alla scelta del suo soggetto può talvolta dimostrarsi inferiore ad esso e talvolta men grande della sua fama precedente; e quindi mancare all' opera sua quella che si domanda ispirazione, ma non mai quei pregi che gli sono essenziali e gli abbiano già dato fama. E non potremmo non avvisare il Maucinelli formato e nudrito di lunghi studi, e non ammirare lo special pregio del suo cartone in quella nettezza de'suoi contorni ne'quali scorgi la mano che non vacilla e quello che fu detto abito dell'arte. Che se il Mancinelli ci parve in un'altra cosa anche minore di sè medesimo, ciò è stato per suo volere deliberato, siccome io penso, perch' egli volle far di meno di tutti quei mezzi ch'erano in sua mano per commuovere l'animo de' riguardanti con un' altra specie di espressione nella quale sarei per dire che risieda la parte retorica dell'arte. Il cartone per usanza universale di pittura è sempre un'opera di apparecchio, ed ogni pittore ha tenuto un suo diverso modo in questa che mi piacerebbe chiamare anticipata rivelazione del quadro.

Alcuni vollero che in quanto a contorni studiosantente ricercati nulla fosse a desiderare, e di costoro a il Mancinelli. Altri che il cartone mostrasse loro più presto una certa apparenza dell'effetto che il quadro doveva produrre e studiarono il contrasto e l'accordo della luce e dell' ombra, dal quale artifizio dipende in gran parte il rilievo di un quadro tanto desiderato dal sommo Michelangelo che soleva dir più bella la pittura quanto meglio si avvicinava al rilievo. Non intendo inferire da ciò che il Mancinelli avesse l'obbligo di cercare il suo effetto meglio disponendo le masse oscure e chine del suo lavoro, ma dico soltanto che il de Napoli fu più avveduto di lui nel giovarsi di questo mezzo per piacere non solo agli artisti ma a coloro che non sono. Per modo che dal cartone del de Napoli ad un quadro compiuto molti trovarono breve passo, parendo che solo il colorito mancasse. Ma quello in che tutti sono, è il desiderio di vedere quando che sia compiuti i quadri dalla loro mano, ed è quasi obbligo non minore a colui che verrà trascelto che agli altri, i quali amando al certo più l'arte loro che il posto desiderato, sentiranno nell' anima un vivo bisogno di esprimere pienamente tutto il loro concetto, cosa che non avranno potuto fare nella pochezza e imperfezione de'mezzi conceduti ad essi dal solo uso della matita.


   XVI. Trovo ricordato nella storia delle arti italiane lo splendido concorso aperto agli artisti perthè venissero compiute quelle mirabili porte di bronzo in S. Giovanni di Firenze che Michelangelo chiamava le Porte `del Paradiso, tanto gli pareva gran cosa quella loro bellezza. Erano più di trenta i giudici the la città aveva nominati a dar sentenza ed erano grandissimo numero i concorrenti; ma dopo la mostra de' lavori, tre soli infra questi erano giudicati eccellenti, e troppo maggiori degli altri. Non può essere che l'animo nostro non si sollevi e non trionfi di gioia ripensando a quella gara e rileggendo quali fossero i tre nomi solenni, Ghiberto , Donatello, e Brunelleschi. E' fama che il Donatello avesse confessato al Brunelleschi ch'egli sentivasi inferiore al Ghiberti nell' opera, e che il Brunelleschi essendo della sentenza medesima in quanto al suo lavoro, gridasse : « Giudici e popolo, udite. Donatello ed io sentiamo che il Ghiberti è maggiore di entrambi e ci ha superati, e noi cediamo volentieri il campo e ci rendiamo, siccome vinti da lui ». Alle quali parole il consesso de' giudici acconsentiva, ed il popolo rimeritò con fragorosi e concordi segni di plauso l'esempio di tanta virtù.


Non so veramente se la diversità de' tempi potesse farci mai sperare atti cosi generosi come fu quello, perchè mi pare ne tempi civili non che manchino le virtù ma sieno di altra specie e forma di quelle che noi ammiriamo nelle più giovani età delle nazioni. Solo non mi sembra ardito di sperare che i giudici trascelti a dare il loro voto non abbiano e non vadano cercando altro ispiratore che la loro coscienza, e che la sentenza del loro labbro si accordi a quella dell'animo, e bastano oggi i nomi de'giudici per confortare questa nostra speranza. Qualunque sia il trascelto, gli egregi concorrenti da noi mentovati sono in tale età ed hanno tanta virtù d'ingegno che non mancheranno ad esso loro altre prove da correre, e palme da raccogliere. Quando il giudizio è giusto, gl' ingegni veramente grandi piegano il capo innanzi alla suprema autorità del vero. Quando non è giusto, oppongono la serenità dell' animo. Ed hanno sempre bellissima cagion di conforto ripensando che agli uomini di poca virtù non aggiunsero giammai nessuna gloria nè un favorevole giudizio da essi ottenuto e non meritato, nè una patente solenne la quale avesse loro dischiuse le Porte di un'accademia. (2)

CESARE DALBONO                 

 

Pagina   1  |  2  |  3